Altra conferma sui salari italiani da fame: guadagniamo meno di 30 anni fa

Istat, Cgil, Censis. Sulla propaganda del governo Meloni piovono i dati impietosi sui salari da fame. Guadagniamo meno di trent'anni fa

Altra conferma sui salari italiani da fame: guadagniamo meno di 30 anni fa

Istat, Cgil, Censis. Sulla propaganda del governo Meloni piovono i dati impietosi sui salari da fame. Nel terzo trimestre dell’anno, la crescita tendenziale delle retribuzioni contrattuali – conferma l’Istat – ha mostrato un rallentamento rispetto al trimestre precedente. La decelerazione della dinamica salariale è causata dalla sostanziale stabilità nei servizi privati e dal significativo rallentamento nel settore industriale, compensata solo in parte dalla lieve accelerazione nel comparto pubblico, a seguito dell’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale. Complessivamente, le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 risultano inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli registrati a gennaio 2021.

Dall’Istat alla Cgil e al Censis: i salari italiani sono da fame

I lavoratori dipendenti del settore privato con il picco di inflazione registrato dal 2021 al 2024 hanno perso nel triennio quasi 6.400 euro lordi di potere d’acquisto, valore che si riduce a 5.505 euro in meno se si considerano gli sgravi fiscali e contributivi. Lo si legge nel Rapporto sui salari della Fondazione Di Vittorio-Cgil. Nello stesso periodo, i lavoratori pubblici hanno sopportato una perdita cumulata pari a circa 5.700 euro. Nel 2024, segnala la ricerca, la quota salari italiana è pari al 58,3% del Pil a prezzi dei fattori, nettamente al di sotto dei principali paesi Ue con la Spagna al 62%, la Germania al 64,9% e la Francia al 66,9%.

L’Italia è tra i Paesi Ocse che hanno registrato “la peggiore performance salariale reale nell’ultimo decennio”: nel primo trimestre del 2024, i salari reali risultano “ancora inferiori del 6,9% rispetto ai livelli pre-pandemia”. Questo dato, sottolinea il testo, “conferma non solo la difficoltà del recupero post-Covid, ma anche una stagnazione salariale che precede la crisi sanitaria”. La crisi finanziaria del 2008, l’emergenza Covid e la crisi energetica derivante dalla guerra in Ucraina, si spiega, hanno poi accentuato le problematiche salariali presenti in Italia.

Dal 1991 al 2024, complessivamente, i salari in Italia sono diminuiti del 2,4%, pari a 831 euro, contemporaneamente in Francia sono cresciuti del +10,23% ovvero di 10.866 euro, in Germania del +13,61% pari a 12.442 euro e in Spagna del +4,06% pari a 2.836 euro. Se si considera l’intero intervallo 2010-2024, i dati mostrano che la produttività è aumentata del 4,3%, le retribuzioni contrattuali del 20,5% e l’inflazione del 29,6%. Il divario tra salari e prezzi — pari a 9,1 punti percentuali — evidenzia una significativa compressione dei salari reali e una progressiva erosione del potere d’acquisto dei lavoratori.

In 14 anni la ricchezza delle famiglie è diminuita in termini reali dell’8,5%

Poi arriva il Censis che accende un faro sul ceto medio che vive “in uno stato febbrile: nella stagnazione o, peggio ancora, rischia di perdere lo status conquistato nel tempo”. Tra il primo trimestre 2011 e il primo trimestre 2025 la ricchezza delle famiglie è diminuita in termini reali dell’8,5%. E chi ha perso più ricchezza è il ceto medio, evidenzia infatti il Censis nel suo Rapporto, dividendo le famiglie per decili di ricchezza detenuta.

Il 50% delle famiglie più povere ha visto diminuire la propria ricchezza del 23,2%, le famiglie distribuite tra il sesto e l’ottavo decile hanno subito una riduzione del patrimonio iniziale tra il 35,3% e il 24,3%, tra le famiglie del nono decile la diminuzione è stata del 17,1%, solo il 10% delle famiglie più ricche ha visto aumentare la ricchezza del 5,9%. All’inizio del 2025, il 60% della ricchezza nazionale è posseduto da 2,6 milioni di famiglie appartenenti al decimo decile.

Il 48% della ricchezza è in mano a 1,3 milioni di famiglie che sono il 5% delle famiglie più abbienti. La quota di ricchezza detenuta da 13 milioni di famiglie che si trovano invece alla base della piramide patrimoniale è scesa dall’8,7% del 2011 al 7,3% del 2025.

Economia da bar

A spiegare che sono proprio i salari bassi a determinare, a fronte di un aumento dell’occupazione, una crescita asfittica è Pasquale Tridico. “Con il Governo Meloni-Giorgetti l’Italia è risprofondata in un modello da economia in via di sviluppo. L’apporto che l’occupazione dà alla crescita è risibile proprio perché è caratterizzata da bassi salari. È un modello economico quindi che favorisce ancora salari bassi, ancora investimenti ‘labour intensive’, vale a dire ad alta intensità di lavoro, in settori a basso contenuto tecnologico, prevalentemente in servizi maturi come bar e ristoranti che hanno bassa produttività. Un’economia da bar”, ha spiegato il capodelegazione M5S al Parlamento europeo.

In Italia la quota di lavoro standard (contratti a tempo pieno e indeterminato) è scesa dal 78% del 2004 al 72% del 2024 e l’incidenza del lavoro non standard, che comprende contratti a termine e part- time, è aumentata dal 22% al 28%, ci ricorda ancora la Cgil. Nel 2024 più di 5 milioni e 300 mila dipendenti (il 28,2% dei dipendenti) hanno un contratto temporaneo e/o part-time.