Altre accuse contro Becciu. Spunta un bonifico da 700mila euro in Australia. Il cardinale smentisce e annuncia querele. Ma il repulisti del Papa non si ferma

Inchieste e veleni. Che si intrecciano dietro le quinte dell’ultimo scandalo in Vaticano. Una trama di accuse e smentite in quella che sta assumendo i contorni di una vera e propria resa dei conti all’interno della Sede Apostolica. E che si infittisce con le dichiarazioni rese ai magistrati da monsignor Alberto Perlasca, coinvolto pure lui nell’inchiesta sulla compravendita del palazzo di Sloane Avenue nell’elegante quartiere di Chelsea a Londra, a capo dell’ufficio amministrativo della prima sezione della Segreteria di Stato ai tempi della transazione. Messo alla porta dal servizio diplomatico della Santa Sede, Perlasca ha deciso di collaborare coi magistrati vaticani. Fornendo agli inquirenti nuovi elementi a carico dell’ormai ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, Angelo Becciu (dimissionato su due piedi da Papa Francesco), all’epoca dei fatti oggetto dell’indagine sostituto della Segreteria di Stato. In altre parole, il diretto superiore di Perlasca.

“Plateale falsità”, ha replicato il legale di Monsignor Becciu, alle nuove accuse nei confronti del suo assistito. Respingendo “ogni tipo di allusione su fantomatici rapporti privilegiati con la stampa, che si vorrebbero utilizzati a fini diffamatori nei confronti di alti prelati” e annunciando di aver ricevuto mandato di agire giudizialmente a tutela della reputazione di Becciu. In particolare, ai magistrati vaticani, Perlasca ha parlato di un bonifico da 700mila euro su un conto in Australia risalente al periodo in cui il cardinale George Pell, ex prefetto della Segreteria per l’economia, era sotto processato per gli scandali legati ai casi di pedofilia nella chiesa.

Accusa dalla quale è stato assolto dall’Alta Corte del suo Paese. Ad ammettere, però, che nella gestione delle finanze vaticane i conti non quadrassero, è stato il successore di Pell, padre Juan Antonio Guerrero Alves, attuale prefetto della Segreteria per l’economia. “È possibile che, in alcuni casi, la Santa Sede sia stata, oltre che mal consigliata, anche truffata – sono state le parole del gesuita –. Credo che stiamo imparando da errori o imprudenze del passato. Ora si tratta di accelerare, su impulso deciso e insistente del Papa, il processo di conoscenza, trasparenza interna ed esterna, controllo e collaborazione tra i diversi dicasteri. Abbiamo inserito nei nostri team professionisti di altissimo livello. Oggi esiste comunicazione e collaborazione fra i dicasteri di contenuto economico per affrontare queste questioni. La collaborazione è un grande passo in avanti. Segreteria di Stato, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e Segreteria per l’economia collaborano di buon grado. Possiamo certamente commettere errori, sbagliare o essere truffati, ma mi sembra più difficile che questo accada quando collaboriamo e agiamo con competenza, trasparenza e fiducia fra noi”.

E non bisogna lavorare troppo di fantasia per scorgere nelle parole di Guerrero Alves, il riferimento – implicito, ma palese – alla cricca di finanzieri che hanno lucrato sui fondi della Segreteria di Stato. Milioni di euro tra consulenze fittizie, conti svizzeri e corruttele. D’altro canto, che la musica sia cambiata nella gestione delle finanze vaticane con l’arrivo di Papa Bergoglio lo certificano i dati. Non è un caso, del resto, che sotto la gestione di Guerrero Alves, il deficit della Santa Sede si sia ridotto da 75 milioni di euro (nel 2018) a 11 milioni (nel 2019), a fronte di entrate per 307 milioni e uscite per 318 e di un patrimonio netto di 1,4 miliardi.