Altro che detenuti lasciati morire. Col virus tornano liberi pure i boss. A casa dovevano andare solo i delinquenti comuni. Ma le celle si sono aperte anche per i mafiosi

Covid libera tutti. Altro che detenuti murati vive e a rischio contagio per insensibilità del governo. Dopo le rivolte in Italia le scarcerazioni sono state infatti numerose e tra queste ci sono anche quelle di esponenti della criminalità organizzata. Le notizie dei detenuti finiti in queste settimane agli arresti domiciliari inquietano se riassunte in un elenco. Si va infatti da Antonio De Luca, del clan Rea-Veneruso di Casalnuovo, a Santo Rocco Filippone, imputato nel processo ‘Ndrangheta stragista, fino a Salvatore Perrella, festeggiato con fuochi d’artificio al Rione Traiano. Dal carcere di Sulmona va poi ai domiciliari anche Vito Carmelo Foti. E così Paolo Zuppardo, presunto boss di Avola che minacciò il giornalista Paolo Borrometi.

Del resto erano considerati a richio contagio più di una ventina di boss già prima di Pasqua. A chiudere il cerchio è quindi arrivata una circolare di fine marzo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che chiede ai direttori delle carceri, 4 giorni dopo il decreto Cura Italia, di segnalare i detenuti con più di 70 anni con particolari patologie e di fornire l’elenco “con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”. Di primo acchito un anticipo di “svuota carceri”, visto che la circolare del Dap che non fa alcuna distinzione tra detenuti, come spiega il giornalista Lirio Abbate in un post su Facebook: “I boss al 41 bis possono sfruttare l’emergenza coronavirus per tornare liberi. Una circolare del Dap invita i direttori delle carceri a segnalare all’autorità giudiziaria detenuti anziani per eventuali pene alternative. E la lista potrebbe comprendere l’intera Cupola di Cosa nostra a cominciare da Bagarella, Calò, Inzerillo, Santapaola, Rotolo, Lo Piccolo e poi Cutolo, Piromalli, Gallico e Fasciani. È una lista di 74 detenuti. Tutto si sovverte con una circolare. E tutto ciò può provocare una pandemia mafiosa”.

Eppure per le carceri sovraffollate il decreto del 17 marzo prevede solo che i detenuti condannati “per reati di minore gravità e con meno di 18 mesi” di reclusione possono finire di scontare la pena agli arresti domiciliari. Prevedendo il braccialetto elettronico per chi è ammesso ai domiciliari, ma con un residuo di pena superiore a 6 mesi. Alla lista dei boss liberati prima dell’11 aprile e pubblicata da giorni, si sono aggiunti altri nomi eccellenti. Come nel caso dell’Abruzzo, in cui si registrano 20 scarcerazioni, 19 delle quali per chi era in regime definito As3, riservato ai condannati con ruolo di vertice nelle organizzazioni criminali.

Senza contare il caso dell’ergastolano Antonio Sudato, siciliano di 67 anni, che sino al 10 aprile era in regime di Alta sicurezza 1. Aumentano così pure i rischi per gli agenti di polizia penitenziaria, che chiedono idonei dispositivi di protezione dai contagi, perché oltre alle traduzioni di queste settimane a loro si chiede anche di ispezionare e valutare, direttamente, l’adeguatezza degli alloggi che ospiteranno i detenuti ammessi ai domiciliari. I 600 controlli di questo genere, eseguiti in Campania, sono poi un altro segnale d’inquietudine sui detenuti finiti ai domiciliari. Scarcerazioni giustificate? Risale al 12 aprile a Milano un secondo decesso di un detenuto affetto da Covid-19 e altre patologie, ritenuto referente della ‘ndrangheta in Umbria. Il primo caso è del 2 aprile, all’ospedale di Bologna, dove è deceduto un 76enne detenuto nel carcere della Dozza, considerato boss della cosca di Misilmeri.