Nel giorno in cui la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto alla genitorialità della madre intenzionale nelle coppie omogenitoriali, l’Italia si è trovata davanti a una svolta di civiltà che il governo Meloni ha tentato fino all’ultimo di impedire. Una sentenza storica, che cancella l’umiliazione imposta alle famiglie arcobaleno e infligge una sonora sconfitta all’offensiva ideologica della destra. È una vittoria dei diritti e una lezione di democrazia per un esecutivo che sul tema ha fatto del proprio programma politico una crociata sotto la bandiera della famiglia tradizionale.
La Consulta mette fine alla propaganda
La Corte ha dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere il figlio nato in Italia da procreazione assistita praticata all’estero. “È incostituzionale” – si legge nella sentenza n. 68 – “negare al figlio la tutela dei legami affettivi”. È un colpo netto alla circolare Piantedosi del giugno 2023, che aveva imposto la cancellazione dei nomi delle madri intenzionali dagli atti di nascita. La Corte ha ristabilito ciò che dovrebbe essere ovvio: che un figlio ha diritto a essere riconosciuto da entrambi i genitori che lo crescono, indipendentemente dal loro genere.
“È una vittoria bellissima, storica” ha detto Glenda Giovannardi, una delle due mamme di Lucca al centro del ricorso: “Per la prima volta nostro figlio è tutelato a tutti gli effetti”. Una sentenza che salva la dignità delle famiglie e che restituisce loro l’uguaglianza negata.
Il governo oscurantista che attacca le istituzioni
Di fronte a questa svolta, il governo ha reagito come ci si aspetta da chi ha in odio i diritti: attaccando la Consulta. La deputata FdI Augusta Montaruli ha parlato di “lesione del diritto dei minori ad avere un padre”, mentre l’europarlamentare Inselvini ha definito “sconcertante” la sentenza, accusando la Corte di “creare per via giudiziaria nuove figure genitoriali”.
“Fratelli d’Italia ha perso ogni senso del limite e ogni rispetto istituzionale” ha replicato la capogruppo Pd Chiara Braga, che ha definito “gravissimo” l’attacco alla Corte. La senatrice Ilaria Cucchi (AVS) ha parlato di “una sconfitta per la destra oscurantista”. E la deputata M5S Vittoria Baldino ha denunciato “l’accanimento incostituzionale del governo contro i bambini”. L’accusa è unanime: Meloni ha tentato di cancellare l’esistenza di queste famiglie per difendere un’ideologia minoritaria e retrograda.
Il Parlamento ora non ha più alibi
C’è però un altro fronte aperto: quello delle donne single escluse dall’accesso alla PMA. La Corte ha definito “non irragionevole” il divieto, ma ha anche chiarito che non esistono impedimenti costituzionali a una riforma della legge. “È un’occasione mancata” ha commentato l’Associazione Luca Coscioni, che con la petizione “Pma per tutte” chiede al Parlamento di agire subito.
Evita, la 40enne torinese che ha promosso uno dei ricorsi, è stata chiara: “È tempo che le istituzioni ascoltino anche la realtà delle donne che scelgono consapevolmente di diventare madri fuori dal perimetro della famiglia tradizionale”.
Meloni sorda alla realtà
Il governo tace o minimizza. La ministra Eugenia Roccella, trincerata dietro una retorica da catechismo, ha ribadito che “cancellare il padre non è progresso” e che “nessuna tecnica potrà mai eliminare la figura paterna”. È la stessa logica che ha animato l’intera offensiva repressiva della destra, culminata nella circolare che oggi la Consulta ha demolito. E che ora si ripropone contro le donne single, colpevoli di non aderire al modello di madre “conforme”.
Il punto è politico. La Corte ha fatto il suo dovere, ma ha rimesso la palla nel campo legislativo. La domanda è: il Parlamento avrà il coraggio di emanciparsi dall’agenda reazionaria del governo? O resterà ostaggio della crociata “per la famiglia naturale” che non ha prodotto altro che discriminazione e insicurezza giuridica?