Giusto martedì la premier Giorgia Meloni ha rilanciato lo slogan del taglio delle tasse per il ceto medio.
Ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio ha certificato che il disposto combinato nella manovra 2025 tra le misure che hanno reso strutturali la decontribuzione e l’accorpamento delle aliquote dell’Irpef ha di fatto comportato un aumento del prelievo da drenaggio fiscale, associato a 2 punti percentuali di inflazione, più alto di circa 370 milioni (+13 per cento). Vale a dire più tasse soprattutto per operai e impiegati. Una vera e propria beffa per i lavoratori.
L’intensificazione del drenaggio fiscale è concentrata sui lavoratori dipendenti anche se in misura differenziata: la variazione percentuale dell’imposta dovuta a tale fenomeno passa dal 3,2 al 5,5 per cento per gli operai e dall’1,7 al 2,3 per cento per gli impiegati. Non solo. In assenza di un’indicizzazione dei parametri, verrebbero erosi anche i benefici che si intendevano apportare con le misure di sostegno al reddito, rendendole progressivamente meno efficaci, argomenta l’Upb.
La denuncia di Conte (M5S): questo governo ha aumentato le tasse
“Sentite qui cosa è successo oggi al Senato: abbiamo proposto di aumentare la digital tax ai colossi del web e recuperare così almeno i 4 miliardi che servirebbero per iniziare a tagliare le tasse al ceto medio. I partiti di Meloni, Salvini e Tajani hanno detto no. Non calpestano i piedi ai miliardari del web: anche su questo Meloni ha cambiato idea e ha promesso a Trump di non toccarli nel suo ‘glorioso’ viaggio a Washington. Insomma, nel giro di un giorno Meloni ha annunciato di voler tagliare le tasse al ceto medio dopo tre anni ed è stata smentita in 24 ore da ministro e viceministro dell’Economia e dai fatti, oggi”, scrive sui social Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 stelle.
“La verità è triste, ma va detta. Le tasse questo governo le ha aumentate: dall’Iva sui prodotti per l’infanzia alla cancellazione degli sgravi dei mutui dei giovani fino al ‘nuovo’ cuneo fiscale che fa pagare ai lavoratori dipendenti 370 milioni di euro in più. Hanno annullato solo la tassa sugli extraprofitti delle banche”, conclude
L’Upb smonta anche la propaganda del governo sulla crescita
L’Upb smonta anche un’altra bufala del governo Meloni. Per l’economia italiana il 2024 si è concluso con una crescita dello 0,7 per cento, per la prima volta dal 2021 al di sotto dell’area dell’euro (0,9 per cento). Checché ne dicano le destre che cresciamo più degli altri.
Le previsioni dell’Upb delineano una fase di moderata espansione dell’economia italiana quest’anno e lievemente superiore negli anni seguenti. Le attese dell’Upb sul Pil sono uguali a quelle del Mef per il 2025 ma sono lievemente più caute per gli anni successivi. “Sono fiducioso che con l’attenuarsi delle condizioni di incertezza le prospettive per l’economia italiana possano migliorare”, ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, intervenuto alla presentazione del Rapporto sulla politica di bilancio dell’Upb.
Giorgetti si sbilancia sul cavallo della Lega ovvero la pace fiscale
“La stima di crescita per l’intero 2025 fissata nel Dfp allo 0,6% – ha aggiunto – è pienamente realizzabile e auspicabilmente superabile”. E ancora. “Io faccio quello che c’è scritto nel programma politico del governo e cerco di renderlo possibile, ma tutti questi annunci sono tutti condivisibili, io li condivido tutti, però a me sta il compito di creare le condizioni affinché si possano verificare”, ha spiegato il numero uno di via XX Settembre a chi gli chiedeva se pace fiscale e taglio dell’Irpef possono andare insieme in manovra.
A chi gli chiedeva se fosse ottimista che si possa fare, Giorgetti ha risposto: “Io sono realisticamente ottimista”. E poi si è sbilanciato ma solo sul cavallo di battaglia della Lega e non sul taglio delle tasse per il ceto medio annunciato da Meloni. “I tempi ci sono. Adesso bisogna lavorare con i dati alla proposta e poi c’è l’iter parlamentare”, ha detto il ministro dell’Economia leghista, parlando dell’ipotesi che la pace fiscale sia operativa dalla prossima manovra.
L’Upb mette in guardia sulle spese per la Difesa e sui ritardi del Pnrr
Si rafforzano le pressioni sulla spesa per sicurezza e difesa. “Il ricorso all’indebitamento in una fase di transizione per accomodare un aumento permanente della spesa per difesa in rapporto al Pil potrebbe avere conseguenze rilevanti per il percorso di riduzione del debito”, spiega poi l’Upb. Un altro motivo per dire no alla follia del riarmo.
L’erosione dei salari reali a seguito della fiammata inflazionistica ha contribuito a sostenere la domanda di lavoro, aggiunge l’Upb, sebbene abbia favorito una diminuzione dell’intensità di capitale e una riallocazione dell’occupazione verso settori a limitato valore aggiunto. Dunque il lavoro che c’è è povero, precario, a bassissima produttività. E ancora.
Ultima annotazione. L’Upb sostiene che circa l’attuazione del Pnrr, il rischio di non realizzare interamente la spesa entro il termine del 2026 è significativo.