“Se Hamas liberasse gli ostaggi, la guerra finirebbe.” È la formula ripetuta come un mantra per offuscare il genocidio a Gaza. Ma cosa succede se a incrinare questa narrazione sono proprio le voci più autorevoli, quelle delle famiglie degli ostaggi israeliani?
“Il governo sceglie i territori, non i nostri cari”, denuncia il Forum delle Famiglie, puntando il dito contro il “Piano Smotrich-Netanyahu”: un progetto per conquistare Gaza che passa sopra le vite dei prigionieri. Einav Zangauker, madre dell’ostaggio Matan, accusa Netanyahu di voler “una guerra eterna, motivata politicamente” invece del ritorno dei rapiti. E mentre le truppe partono per il fronte, il governo pianifica nuovi insediamenti “sulle spalle dei nostri ostaggi”.
L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem è brutale: Israele ha scelto “di sacrificare gli ostaggi per portare avanti la guerra totale”. E i racconti degli ostaggi liberati confermano i timori. Na’ama Levy, ex prigioniera, racconta che i bombardamenti israeliani “l’hanno messa in pericolo più di ogni altra cosa”. Gil Dickmann, cugino di Carmel Gat uccisa in prigionia, è chiarissimo: “Ogni escalation mette a rischio altre vite”.
Nel frattempo, Netanyahu ha nominato a capo dello Shin Bet David Zini, uomo che ha definito il conflitto una “guerra per sempre” e si è detto contrario agli accordi per la liberazione degli ostaggi. Per le famiglie, questa nomina è un crimine deliberato.
Ascoltando chi ha figli ancora prigionieri, il dubbio diventa legittimo: ne sanno più i commentatori imbiancati delle famiglie? Se l’agenda del governo preferisse le macerie di Gaza alla vita dei propri cittadini?