Amazzonia, con i suoi consumi l’Italia contribuisce alla deforestazione di quattromila ettari l’anno

Carne, soia e cacao: i consumi italiani valgono quattromila ettari di Amazzonia distrutti ogni anno secondo il nuovo rapporto Wwf

Amazzonia, con i suoi consumi l’Italia contribuisce alla deforestazione di quattromila ettari l’anno

Alla Cop30 di Belém i numeri pubblicati nel nuovo “Amazon Footprint Report 2025” del Wwf e degli istituti di ricerca Trase, Sei e Chalmers riportano l’Italia al centro della scena. Ogni anno i consumi nazionali corrispondono a quattromila ettari di Amazzonia abbattuti, una superficie pari a cinquemila campi da calcio. 

È un dato strutturale: l’Unione europea genera circa il 20% della deforestazione globale legata alle catene di approvvigionamento e, di quel totale, l’Italia detiene una quota significativa.

Il peso non dipende solo dalla carne bovina importata dal Brasile ma anche dalla soia utilizzata per alimentare gli allevamenti avicoli e suinicoli, dal cacao che sostiene l’industria dolciaria e dal legname tropicale impiegato nei settori dell’arredo e della nautica. È una responsabilità diffusa lungo filiere che raramente arrivano fino al dibattito pubblico nazionale e che mostrano quanto la domanda interna influenzi territori lontani, spesso in conflitto per la gestione della terra e dell’acqua.

Le filiere che spingono la deforestazione

Secondo il dossier, gli allevamenti bovini restano il principale motore della perdita di foresta: rappresentano il 78% della deforestazione amazzonica legata alle materie prime, pari a 6,7 milioni di ettari tra 2018 e 2022. La foresta viene convertita in pascoli soprattutto nel Brasile centro-orientale, nei territori del Pará e del Mato Grosso, dove la crescita delle esportazioni ha accelerato l’avanzamento della frontiera agricola.

La soia, seconda causa con il 4,6%, alimenta in larga parte gli allevamenti europei. In Italia oltre l’80% della soia importata è destinata ai mangimi, un dato che lega indirettamente polli, maiali e bovini alle dinamiche di deforestazione. In Bolivia, Perù ed Ecuador, invece, prevalgono le coltivazioni intensive di mais, palma da olio e cacao, anch’esse connesse ai mercati occidentali. Il rapporto ricorda che la foresta amazzonica ha già perso il 17% della sua estensione storica, avvicinandosi alla soglia in cui il sistema non sarebbe più in grado di rigenerarsi.

Le conseguenze sono molteplici: perdita di biodiversità, aumento degli incendi, erosione del suolo, inaccessibilità all’acqua per le comunità rurali. Nel reportage fotografico che accompagna lo studio, il Wwf documenta gli effetti sulle popolazioni indigene che vivono nelle aree in cui avanzano i pascoli e le coltivazioni industriali.

L’Europa rallenta mentre l’impatto cresce

Mentre a Belém si discute di obiettivi al 2030, l’Unione europea affronta la pressione politica che mira a diluire l’applicazione dell’Eudr (European Union Deforestation Regulation), la normativa che vieta l’ingresso nel mercato europeo di beni legati alla deforestazione. Il Wwf Italia, attraverso il suo responsabile foreste, parla di «rischio di arretramento» e ricorda che il 10% della deforestazione provocata dai consumi europei ricade direttamente sull’Amazzonia.

Per l’Italia, questa discussione è decisiva: la dipendenza da carne bovina, mangimi e cacao rende il nostro sistema produttivo vulnerabile a qualunque indebolimento delle regole sulla tracciabilità. E apre un problema politico sulla distanza tra la narrativa “verde” spesso esibita nei contesti internazionali e la realtà delle importazioni che sostengono la nostra dieta e le nostre filiere.

Il quadro che emerge dal rapporto è netto. Ogni anno la domanda italiana sottrae quattromila ettari di foresta amazzonica, mentre la foresta continua a perdere la sua capacità di assorbire carbonio e di garantire l’equilibrio idrologico dell’intero bacino. Il dibattito europeo sul regolamento Eudr rischia di determinare se questa tendenza potrà invertire rotta o se continuerà, silenziosa, a crescere.