Troppa miseria e poca nobiltà. Vita da fame per gli artisti: più della metà incassa solo 5mila euro l’anno

C’è tutto un altro mondo per gli artisti fuori da quello dorato di viale Mazzini. Un mondo dove non si discute di super stipendi, ma di compensi da fame

C’è tutto un altro mondo per gli artisti fuori da quello dorato di viale Mazzini. Un mondo dove non si discute certo di mettere o meno un tetto ai compensi, ma dove è una lotta continua per arrivare alla fine del mese. Ed è questo il perimetro all’interno del quale si muovono la gran parte degli artisti italiani. Tra lavori e lavoretti con pluricommittenti, contratti precari (quando ci sono) e tutele inesistenti. Il quadro emerge dalla ricerca, Vita da Artisti, realizzata dalla Fondazione Di Vittorio con il contributo di Cgil-Slc: un lavoro che permette di indagare sulle condizioni e di tracciare le esigenze di chi lavora nel settore. Sono state 136.571 le persone impiegate nello spettacolo nel corso del 2015. Le statistiche sono state prodotte dall’Inps (gestione ex Enpals) e risultano dai dati del fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo. Ai fini statistici sono considerati i settori di cinema, teatro, musica, radiotelevisione e d’intrattenimento vari. Si tratta soprattutto di attori il 54,2% del totale (74.014). Subito dopo ci sono concertisti e orchestrali (18,9%), i lavoratori nel ballo, figurazione e moda (11,8%) e i cantanti (5,8%). Tutte le altre figure professionali non arrivano nemmeno al 5%. Significativo il boom di lavoratori che si è registrato tra 2014 e 2015; l’incremento dei contribuenti è stato pari al 14,2% (da 119.559 ai già citati 136.571). Soprattutto attori, visto che la categoria ha fatto registrare un eloquente +40,3%. Artisti che sono concentrati, e non potrebbe essere altrimenti, nelle grandi città: a Roma (22,8%), Milano (12,3%), Torino (6,7%) e Napoli (5,1%). Quasi tutti sono italiani, fatta eccezione per una sparuta minoranza di stranieri (1,5%).

Come trovare occupazione – C’è poco spazio per gli improvvisatori visto che il 72,3% degli intervistati ha intrapreso percorsi specifici di formazione. Peccato, però, che questa specializzazione conti davvero molto poco per riuscire a trovare lavoro. Ciò che conta in questo ambito è la rete di contatti. Quasi tutti (96,9%), insomma, sembrano condividere il “Poletti pensiero”. Poco più di un mese la frase tanto contestata del ministro del Lavoro che consigliava, metaforicamente, di andare a giocare a calcetto per trovare lavoro piuttosto che mandare curricula. Come a dire, per l’appunto, che contano di più i contatti personali.

Per un pugno di spicci – Ma quanto guadagnano tutti questi artisti? Meglio sfatare subito il mito del connubio spettacolo uguale soldi. Perché dall’analisi del reddito netto annuale (tasse escluse) viene fuori un quadro molto più vicino di quanto si pensi all’indigenza. Con poco più della metà degli artisti, il 51,4%, che percepisce fino a 5 mila euro l’anno. C’è, poi, un 37,5% che vivacchia guadagnando tra i 5 e i 15 mila euro l’anno e solo il 4,2% del campione che riesce a portare a casa una cifra superiore ai 25 mila euro. La professione meno remunerativa è quella dei ballerini, seguita subito a ruota da musicisti e attori. Chi se la passa un po’ meglio sono autori, registi, drammaturghi e scenografi. Remunerazioni non legate, se non i rari casi eccezionali, a contratti stabili. Che nel settore rappresentano una chimera. Basti pensare che nel 2015 soltanto il 4% degli artisti poteva contare su garanzie contrattuali durature. L’inquadramento più utilizzato è fatto di contratti a tempo o formule quali la cessione di diritti d’autore. Frequente anche l’utilizzo di partita iva e, ahinoi, degli odiati voucher (ancora per poco), che hanno visto un’impennata tra 2014 e 2015 passando dal 5,4% al 9,2%. Ovvio quindi che la gran parte degli artisti per campare deve svolgere altre professioni. D’altronde siamo un Paese che con la cultura non vuole proprio mangiare.