“Avanti sui 9 euro l’ora, inutile chiamare in causa il Cnel”: l’intervista a Fassina

Sul salario minimo Stefano Fassina sostiene che si debba andare avanti sulla proposta che prevede i 9 euro l'ora, senza coinvolgere il Cnel.

“Avanti sui 9 euro l’ora, inutile chiamare in causa il Cnel”: l’intervista a Fassina

Mercoledì scorso la premier Giorgia Meloni aveva ribadito il suo no al salario minimo. Stefano Fassina, economista ed ex viceministro dell’Economia del governo Letta, oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, hanno fatto bene le opposizioni ad andare venerdì a Palazzo Chigi?
“Nonostante la strumentalità dell’incontro, avvenuta dopo il voto alla Camera per rinviare la discussione della proposta, sarebbe stato un errore di comunicazione se le opposizioni si fossero sottratte al confronto. Tuttavia, va ricordato che l’iniziativa è parlamentare e che l’interlocutore naturale delle opposizioni sono i partiti della maggioranza. La Presidente del Consiglio rappresenta la maggioranza, non viceversa, almeno finché rimaniamo una Repubblica parlamentare”.

La premier ha affidato al Cnel il dossier sul lavoro povero per partorire una proposta da presentare in autunno.
“La proposta esiste già. L’hanno messa nero su bianco le opposizioni, in un percorso con le organizzazioni sindacali e con le associazioni più impegnate contro la povertà. Il Cnel è un’istituzione importante, ma mi pare sia stata chiamata in campo per intrattenere il pubblico”.

Meloni continua a sostenere che il salario minimo potrebbe essere controproducente rischiando di livellare i salari verso il basso.
“Trovo davvero insopportabili le preoccupazioni per lavoratrici e lavoratori sbandierate da chi ha distrutto i minimi argini alla precarietà introdotti dal Decreto Dignità durante il Governo Conte I, da chi ha smantellato il RdC come “salario di riserva”, rete di protezione per sottrarre, almeno per 18 mesi, uomini e donne al ricatto di condizioni di lavoro umilianti e povere in termini di retribuzione, da chi considera la disoccupazione una scelta e la povertà una colpa, da chi ha allargato lo spazio per appalti e subappalti al massimo ribasso. La destra ha nel dna un patto implicito con i settori più miopi della manifattura e dei servizi per insistere sulla competizione di costo, innanzitutto il costo del lavoro. Oltre che ingiusto, non funziona per due ragioni macroeconomiche granitiche. Primo, l’Italia può sopravvivere nella divisione europea ed internazionale del lavoro soltanto se compete sulla qualità. Secondo, la fase ultra-mercantilista è finita, siamo dentro la fase della de-globalizzazione, si deve puntare sulla domanda interna, in quadro di innalzamento delle protezioni per ridurre la concorrenza sleale determinata dal dumping fiscale, salariale e ambientale”.

Dalla maggioranza finora non sono arrivate proposte, fatta eccezione per quella di Forza Italia che non fissa una soglia minima oraria, ma punta ad adeguare i salari non coperti da contratto collettivo a quello previsto dal contratto nazionale leader per il settore di riferimento. È secondo lei una proposta sufficiente?
“No, non lo è. I dati, purtroppo, indicano che numerosi contratti nazionali di lavoro firmati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, quindi da Cgil, Cisl e Uil, riconoscono “minimi”, inclusivi di tredicesima e, eventualmente, quattordicesima e TFR, inferiori alla soglia di 9 euro lordi l’ora. Anche a me piacerebbe un mondo dove i sindacati confederali sono forti ed in grado di tutelare efficacemente tutti i lavoratori e lavoratrici dipendenti senza la necessità di un “minimo” determinato per legge. Purtroppo, il mondo del mercato unico europeo è un mondo dove domina il dumping salariale e fiscale, dove l’ingresso nell’Unione europea di Stati a welfare povero e salari medi di 300 euro al mese, deliberato spensieratamente all’inizio degli anni 2000, ha determinato una spinta al ribasso inarrestabile per via sindacale, considerato sia l’enorme esercito industriale di riserva sopraggiunto, sia l’irrilevanza dello sciopero a causa delle delocalizzazioni facili. Ma attenzione a rendere accettabile il salario minimo attraverso altri sgravi fiscali alle imprese. La proposta delle opposizioni va corretta su questo punto, come va fermata la moda facile di aumentare i redditi da lavoro con sgravi fiscali e contributivi, a meno di compensare le minori entrate con aumenti dell’imposizione sui redditi da capitale. Le opposizioni e i sindacati non devono rassegnarsi all’ulteriore smantellamento del welfare universale per il welfare aziendale”.

Reddito di cittadinanza. La ministra del Lavoro, Marina Calderone, sostiene che solo 200 mila persone lo perderanno sui 400 mila stimati. Meloni dice a che a perderlo saranno 112 mila sui 300mila stimati. Il governo dà i numeri?
“I numeri reali sono doppi rispetto ai quelli dichiarati dal Governo. Innanzitutto, l’abbassamento della soglia Isee fa fuori centinaia di migliaia di uomini, donne e minori. Inoltre, chi riceve l’Assegno sostitutivo del RdC perde una significativa somma di denaro in un contesto dove l’ “inflazione dei poveri”, ossia l’aumento dei prezzi di beni e servizi di primaria necessità sui quali chi è in difficoltà spende tutto quello che riceve, ha già decimato il suo potere d’acquisto. Infine, la transizione è vergognosa: è legittimo cambiare tutto, ma se ritieni che il problema siano i divanisti, prima li metti in condizione di fare formazione e ricevere un’offerta di lavoro “congrua”, poi in caso di indisponibilità a raccoglierla, togli il sostegno economico. Qui, invece, si è fatto un intervento punitivo: ti tolgo il sostegno subito, ti affido a centri per l’impiego o a servizi sociali strutturalmente inadeguati, in particolare nel Mezzogiorno. In sintesi, si toglie il sostegno economico a famiglie disperate senza verificare la disponibilità dei beneficiari al lavoro o alla formazione. Di fronte all’emergenza sociale, si gonfierà ancor di più, con la complicità delle istituzioni, il bubbone della formazione finta spalmata su 12 mesi”.

Le regioni del Sud pagano il prezzo più alto dallo smantellamento del Reddito di cittadinanza. Alla luce anche del ddl dell’Autonomia differenziata leghista si può dire che questo governo sia nemico del Mezzogiorno?
“È un fatto che il Mezzogiorno sia colpito dalle politiche del Governo: dalla cancellazione del RdC, allo smantellamento del Decreto Dignità, alla riallocazione delle risorse del Pnrr. L’Autonomia differenziata sarebbe la fine sostanziale dell’Italia come nazione”.