Battaglia sulla decadenza del Cavaliere. Il governo resta appeso a un filo

di Alessandro Ciancio

Tuoni e fulmini ma nessun uragano. Solo una pioggia sottile che sembra preludio alla tempesta definitivo. La giornata politica che molti davano per esiziale per le sorti del fragile governo di Enrico Letta è terminata in fondo com’era iniziata: alla somministrazione dell’estrema unzione al governo delle larghe intese non ha fatto seguito la certificazione del decesso di un esperimento difficile e contraddittorio, che pure poteva segnare una storica pacificazione fra due partiti in lotta da vent’anni.
Nessun ottimismo, comunque. Lo sostenevano nel pomeriggio anche ‘parti terze’ come il segretario della Lega Nord Roberto Maroni: «Questo governo durerà ore, la situazione è irrimediabilmente compromessa». D’accordo, ma di chi sarebbe la colpa di un eventuale crisi di governo? Su questo punto Pd e Pdl si sfidano in un serratissimo gioco delle parti. Rigorosamente a distanza, visto che il premier Enrico Letta e il suo vice Angelino Alfano, che dovevano trovarsi ieri faccia a faccia alla Summer School di Frascati, hanno entrambi cancellato l’appuntamento. Non prima, per quanto riguarda Alfano, di aver detto che in quanto Pdl «siamo esterrefatti per il comportamento del Partito Democratico in Giunta. Pur di eliminare per via giudiziaria lo storico nemico politico, preferiscono mettere in ginocchio il Paese, applicando retroattivamente, in fretta e furia, una norma che ormai innumerevoli giuristi, personalità neutre e di sereno giudizio, ritengono pacificamente irretroattiva. Tutto ciò è davvero incredibile oltre che insopportabile». Dunque, sarebbe il Pd a doversi accollare le responsabilità della crisi. Dello stesso parere il capogruppo dei deputati azzurri Renato Brunetta, per il quale «il Partito democratico, dando un’accelerazione isterica ai lavori della Giunta sull’applicabilità delle legge Severino, si è infilato nella tana del drago. È inutile ora che se la prenda con il relatore Augello, accusandolo di aver determinato con le sue scelte tecniche il precipitare delle cose. Questo è un puro pretesto, per non assumersi la responsabilità di una volontà politica, quella di eliminare Berlusconi senza se e senza ma, facendo strame del diritto e della prassi. Di certo se la sinistra voterà la decadenza la maggioranza in quell’istante non esisterà più. Quel voto fa decadere, irresponsabilmente e con effetto immediato, anche il governo Letta. E la colpa sarà tutta, inconfutabilmente, del Partito democratico».
Come da copione trito e ritrito, il Pd ha ribattuto per tutta la giornata alle accuse, rispendendole con durezza all’avversario-alleato. «Vedo che il Pdl continua a reclamare la responsabilità del Pd. Diciamo basta con questo capovolgimento della realtà» ha attaccato Davide Zoggia, responsabile organizzazione del partito. «Silvio Berlusconi ha ricevuto una condanna definitiva. Il Pd non potrà che agire in base alla legalità, se il Pdl è prigioniero delle sorti personali di Berlusconi e per questo fa cadere il governo, il Pdl se ne assume tutta la responsabilità. Sono loro che devono spiegare ai cittadini che fanno cadere un governo nato per rispondere ai problemi degli italiani perché pretendono che Silvio Berlusconi, essendo un politico, sia al di sopra delle leggi». E lo stesso Luciano Violante, accusato nei giorni scorsi dai militanti del Pd di essere la vera testa di ponte di Silvio all’interno del partito, era altrettanto categorico «Dire che se si vota in Giunta c’è la crisi di governo mi sembra un ricatto politico, il Pdl a parti invertite non accetterebbe mai un ricatto di questo genere, è una pressione inaccettabile». Insomma, il dialogo sembra talmente rotto che non si capisce più neanche chi sarebbe a far scattare la crisi. In mezzo a Pd e Pdl c’è solo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha ammonito: «Se non teniamo fermi e consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale tutto è a rischio».
Nel Pdl, in serata, si diffondeva la voce secondo cui Berlusconi starebbe riflettendo sulla proposta che le ‘colombe’, ed in particolare i figli, continuano a prospettargli: chiedere la grazia. Ma per farlo dovrebbe fare quel passo indietro da senatore che eviterebbe un voto in giunta estremamente pericoloso per la maggioranza. E accettare un percorso ben preciso che potrebbe portarlo prima ai servizi sociali. Una condizione alla quale il Cavaliere non ha ancora deciso se attenersi, visto che non si fida più di nessuno. Per questo nulla al momento sembra in grado disarmare gli eserciti contrapposti.
Complice l’ora e, forse, la partita di calcio della nazionale italiana contro la Repubblica Ceca, nel cortile di Sant’Ivo alla Sapienza non si è comunque registrato il pienone di curiosi che l’altro giorno avevano invece riempito il cortile della chiesa di corso Rinascimento. A seguire dall’esterno i lavori della Giunta per le elezioni del Senato si raccoglieva infatti un parterre piuttosto composto (tra i presenti anche un drappello di sei senatori pentastellati), che non si lasciava andare ad alcuna contestazione. Assenti anche le televisioni straniere che il giorno prima avevano attirato l’attenzione dei cronisti italiani.
A informare i presenti sono stati così di volta in volta gli stessi commissari. «Siamo ormai tutti d’accordo sul trovare un percorso unitario che consenta di affrontare la questione nel merito. A questo punto le pregiudiziali non esistono più» annunciava alla fine il senatore del Psi Enrico Boemi in una pausa dei lavori. «Abbiamo deciso di continuare l’esame della relazione di Augello seguendo l’articolo 10 del regolamento». Il che significa che ogni componente della Commissione potrà intervenire per 20 minuti ciascuno «più un tempo supplementare di 60 minuti per gruppo. Il clima mi sembra buono e di piena collaborazione». Da qui l’esasperazione dei grillini: «Stiamo ‘estorcendo’ a Augello le conclusioni, vogliamo iniziare la discussione generale e votare subito! Fuori Berlusconi!» si poteva leggere sul profilo Twitter dei senatori Cinque Stelle. Dovranno aspettare ancora. I tuoni e i fulmini da soli non bastano.