Bavaglio di Stato ai giornalisti. Si comincia a scendere in piazza

La stampa non condanna, racconta. Presidio dei giornalisti davanti al tribunale di Milano contro il bavaglio introdotto dalla legge Cartabia.

Bavaglio di Stato ai giornalisti. Si comincia a scendere in piazza

La stampa non condanna, racconta. È stato questo lo slogan che ha accompagnato il presidio di una sessantina di giornalisti davanti al tribunale di Milano per protestare contro il bavaglio introdotto dalla legge Cartabia che, in nome di un presunto garantismo, impedisce ai cronisti di nera e giudiziaria di fare il proprio lavoro e ai cittadini di essere informati compiutamente e senza censure.

La stampa non condanna, racconta. Presidio dei giornalisti davanti al tribunale di Milano contro il bavaglio introdotto dalla legge Cartabia

Al presidio, organizzato dal sindacato lombardo dei giornalisti, ha partecipato anche il presidente dell’Ordine della Lombardia Riccardo Sorrentino. “I problemi che ci sono riguardano la normativa che sta stringendo in maniera ossessiva la diffusione di notizie rispetto a fatti di interesse pubblico. La normativa mette in difficoltà i giornalisti nel fare il loro mestiere, per cui recuperare la notizia in maniera piena li espone al rischio di essere indagati nel momento in cui fanno inchieste, o trovano nomi e circostanze non comunicate dal magistrato”, ha dichiarato Paolo Perucchini, presidente dell’Associazione lombarda giornalisti (Alg).

“Stiamo lavorando con l’Ordine per capire se la normativa Cartabia sia attaccabile dal punto di vista costituzionale. Il percorso che stiamo valutando è complicato, soprattutto lungo. Il problema vero è che se questo percorso si sviluppa in due anni, per due anni saremo sotto la scure di questa norma e il rischio è di vedere cancellata l’attività giornalistica dal punto di vista della cronaca, e si intende tutta la cronaca: giudiziaria, bianca, nera, economica, sportiva, di qualsiasi genere”, ha proseguito Perucchini.

“I danni della legge Cartabia, gravissimi per tutte le redazioni e in tutte le città, diventano – è stato sottolineato – devastanti nei capoluoghi e nei Comuni più piccoli dove il lavoro con le fonti giudiziarie e delle forze dell’ordine è praticamente paralizzato”. La legge Cartabia ha, infatti, introdotto un “bavaglio” ai media monopolizzando il potere di divulgare le informazioni sui procedimenti penali nelle mani dei capi delle procure ai quali spetta stabilire cosa sia e cosa no di “interesse pubblico”. Una misura degli effetti di questa norma la si è avuta quando, a conclusione delle indagini sulla mancata istituzione della zona rossa in Valseriana, la Procura di Bergamo ha rilasciato uno stringato comunicato di sole ventuno righe.

“La libertà di stampa in Italia, già mal messa al 58esimo posto nella classifica del 2022 del World Press Freedom Index che ne analizzava lo stato di salute rispetto a ben 180 Paesi, subisce il pesante contraccolpo delle variegate e difformi attuazioni del decreto legge sulla presunzione d’innocenza, che va sotto il nome di legge Cartabia”, dice a La Notizia Marinella Rossi, ex cronista di giudiziaria del quotidiano Il Giorno e componente del Consiglio direttivo dell’Alg.

“A oltre un anno dall’entrata in vigore del decreto legge 188/2021 sul rafforzamento della tutela della presunzione d’innocenza”, aggiunge, “il dovere-diritto di cronaca di chi informa e il diritto di essere informati è nelle sole mani dei Procuratori della Repubblica, che, da magistrati, stabiliscono cosa sia una notizia d’interesse pubblico, e amministrano l’informazione più delicata su indagini, arresti, vittime di reati, storie rilevanti, in via totalmente esclusiva”.

“I due diritti costituzionalmente garantiti, presunzione d’innocenza e libertà di stampa, vengono così messi in conflitto. Non si opera sulla correttezza, contenimento, uso adeguato di espressioni da parte dell’informazione, ma si incide direttamente sulla negazione della notizia, se e quando diffusa, in termini confusi, incompleti, rendendo il lavoro dei giornalisti un percorso a ostacoli per riuscire nel compito di raccontare la realtà”, conclude Marinella Rossi.