La risposta è arrivata con parole misurate, ma affilate. L’Associazione nazionale magistrati interviene nel pieno della polemica seguita alla decisione della Cassazione su Marcello Dell’Utri e alla lettera di Marina Berlusconi, che ha parlato di «fango» gettato per trent’anni sulla figura del padre. Il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, puntualizza che non vi è alcuna «persecuzione giudiziaria» contro politici né complotti da svelare. La sentenza della Suprema Corte, ricorda, riguarda un procedimento di prevenzione a carico di un ex collaboratore, non un processo a Silvio Berlusconi. E soprattutto il reato di concorso esterno non fu mai contestato all’ex premier.
Che cosa ha deciso davvero la Cassazione
Per capire perché la nota dell’Anm si inserisca con tanta precisione in questo clima, bisogna tornare alla decisione del 22 ottobre. In quella data la Cassazione ha respinto il ricorso della Procura generale contro il no alla sorveglianza speciale per Dell’Utri.
Nel provvedimento i giudici rilevano che non vi sono prove processuali di un riciclaggio mafioso nelle imprese riconducibili all’area berlusconiana. Da qui un salto comunicativo: alcune letture mediatiche hanno trasformato una decisione di prevenzione in una sorta di assoluzione retrospettiva sulla stagione delle indagini per mafia al Nord. Il passaggio è stato immediatamente amplificato dalla lettera di Marina Berlusconi, diffusa due giorni dopo, che denuncia una presunta persecuzione durata decenni.
Ma la pronuncia della Cassazione non tocca in alcun modo la condanna definitiva per concorso esterno di Dell’Utri, già scontata. Né riscrive i processi del passato. È in questo scarto tra fatto giuridico e narrazione politica che l’Anm interviene, accusando un tentativo di alterare la percezione dell’opinione pubblica proprio mentre la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere affronta l’ultimo tratto parlamentare. Nello stesso solco, Parodi respinge anche un’altra scorciatoia polemica: l’idea che la durata dei procedimenti sia figlia di accanimento. Le lungaggini, afferma, sono l’esito di riforme stratificate, continue riscritture del rito, carenze di organico e transizioni mai completate.
Il referendum e la posta in gioco
Il ddl Nordio è atteso al voto finale del Senato nelle prossime settimane. Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi, il referendum confermativo scatterà se richiesto da parlamentari, regioni o cittadini: una consultazione senza quorum, dunque interamente giocata sulla mobilitazione. È qui che la cornice comunicativa diventa sostanza politica: se attecchisce l’idea della «magistratura faziosa», ogni critica tecnica alla riforma verrà letta come difesa corporativa. Al contrario, il fronte contrario teme l’effetto di burocratizzazione dell’azione penale e una compressione dell’indipendenza del pubblico ministero.
Cronologia alla mano: il 22 ottobre la Cassazione decide su Dell’Utri; tra il 24 e il 25 ottobre arriva la lettera di Marina Berlusconi; il 27 ottobre l’Anm interviene con la nota che respinge l’idea della “persecuzione”. Una sequenza ravvicinata che spiega l’innalzamento dei toni e la trasformazione di un atto di prevenzione in manifesto politico. È su questo scarto che si giocherà la campagna, tra slogan e norme, mentre il Paese è chiamato a scegliere l’architettura della propria giustizia.
L’assemblea dell’Anm dei giorni scorsi ha messo in chiaro questo rischio, mentre magistrati come Nicola Gratteri parlano di tentativo di «normalizzare» i pm. Nei prossimi giorni la maggioranza punta al via libera del Senato e all’avvio della raccolta delle firme per il referendum: settimane in cui ogni parola peserà come una prova. In questo quadro, la nota dell’Anm non è una semplice precisazione d’ufficio: è un avvertimento. Ricordare i confini giuridici della decisione su Dell’Utri significa sottrarre materia prima alla propaganda e riportare il confronto dove deve stare, su testi, effetti e garanzie. Perché la giustizia non è un totem da venerare né un avversario da abbattere: è un equilibrio da difendere.