di Filippo Conti
Si fa presto a dire elezioni. Silvio Berlusconi ha dato al governo di Enrico Letta una fiducia a tempo. L’ha fatto capire anche ieri, nella riunione con i ministri del Pdl. Che ha avuto momenti di tensione. Gaetano Quagliariello, per esempio, non c’era. Segno, forse, di un’incrinatura. “Voglio risultati. In tre mesi dovete convincermi che ho fatto bene ad appoggiare questo governo. Altrimenti andiamo tutti a casa”, ha detto il Cavaliere alla sua truppa ministeriale. “Rompere ora non serve a niente e sarebbe un danno d’immagine”, ha replicato un ministro. Berlusconi, dunque, per ora non farà cadere il governo. Ma ha deciso di portare lo scontro direttamente a Palazzo Chigi. Alzando l’asticella sui provvedimenti. Senza più fare sconti al premier e al Pd. Con l’intenzione di battagliare su ogni provvedimento. Pronto a staccare la spina prendendo a pretesto l’Iva o altro. O costringendo il Pd a farlo. Con Letta sempre più ostaggio del leader del Pdl. Anzi, ormai si può dire Forza Italia.
Fin qui la versione ufficiale. Quella che il vertice de Pdl sta facendo trapelare come lettura politica del videomessaggio del Cav.
In realtà le cose non stanno proprio così. La seconda versione viene raccontata dai peones, dalle retrovie del partito, intercettati nei meandri di Montecitorio. Lo scenario qui è ben diverso: Berlusconi non ha alcuna intenzione di rompere. Non adesso e nemmeno nei prossimi mesi. Per due motivi. Innanzitutto il Cav ha tutto l’interesse a passare per statista, ovvero colui che, seppur privato del seggio parlamentare e della sua libertà personale, non farà saltare il tavolo, ma, per senso di responsabilità, terrà in vita questa maggioranza. Tenendo però sulla corda il governo più di prima. In secondo luogo, nonostante i sondaggi favorevoli, Berlusconi non ha ancora un candidato premier da contrapporre a Matteo Renzi. Il leader del Pdl sa bene che contro il sindaco di Firenze non basteranno le bandierine di Forza Italia e il suo nome sul simbolo: occorre un volto forte e innovativo da spendere per Palazzo Chigi. E il Cav non può permettersi di andare incontro a una sconfitta elettorale. “Berlusconi non ha alcuna intenzione di rompere. Alzerà il livello dello scontro, magari Letta non navigherà in mari tranquilli come è stato finora, ma l’esecutivo terrà. In attesa di trovare il candidato vincente. O di convincere Marina a scendere in campo”, confida un deputato pidiellino bene informato.E la conferma arriva dallo stesso Berlusconi. “La crisi sarebbe destabilizzante. Ora serve stabilità. Abbiamo dimostrato di essere responsabili. Resteremo al governo fino a quando rispetteranno i patti”, ha detto il Cavaliere inaugurando la nuova sede del partito in piazza San Lorenzo in Lucina.
Altri discorsi, invece, si fanno al Nazareno. Dove non pochi dirigenti sono rimasti delusi proprio dal mancato annuncio di crisi nel video messaggio berlusconiano. Non solo Matteo Renzi, che non vede l’ora di andare a elezioni per non perdere il treno, ma anche il gruppo dirigente che fa riferimento a Epifani e Bersani si è convertito al partito del voto. Perché questo consentirebbe loro di mantenere il controllo della “ditta”. L’input inviato dai renziani al vertice del Pd è chiaro: se ci date le urne, Matteo si candida a Palazzo Chigi e rinuncia a correre per la segreteria. Ovvero lo schema iniziale del sindaco di Firenze. E questo, per Bersani, D’Alema, Epifani & C. è il massimo risultato raggiungibile in questo passaggio. Il peggiore, invece, è che Renzi si prenda partito e Palazzo Chigi. “Le elezioni convegono più a noi che a loro. Noi abbiamo un candidato forte, vincente. Loro no. In più risolveremmo il problema del congresso. Qui tutti sono terrorizzati dall’ipotesi Renzi segretario. Se si vota, lui si candida a premier e al Nazareno ci va Cuperlo o un altro dell’apparato”, racconta un senatore democratico che vuole restare anonimo.
Ma torniamo a Berlusconi. Ieri è tornata in campo l’ipotesi dimissioni prima del voto in giunta sulla decadenza. “E’ una possibilità, ma è una decisione che deve prendere lui”, ha detto l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Romani. Nel Pdl girano, anche in questo caso, due versioni: Berlusconi si dimette per chiedere la grazia, Berlusconi si dimette per non farsi umiliare e cacciare dal Parlamento. Per poi sfasciare tutto e andare al voto. Dallo stretto entourage del Cav, però, le escludono senza mezzi termini: Berlusconi non si dimetterà mai. Ormai, raccontano, ha metabolizzato il fatto che dovrà farsi nove mesi ai domiciliari o ai servizi sociali. Poi, dopo il semestre di presidenza europea, si vedrà. Molto dipenderà se da Milano e da Napoli arriveranno altre condanne. Intanto si va avanti. Il Cav ha raassicurato: “Niente crisi se il Governo rispetta i patti”.