Che la musica in fatto di vaccinazioni doveva cambiare, il premier Mario Draghi lo aveva fatto intendere a chiare lettere già al suo primo incontro a Bruxelles. Ma pochi, all’estero, si aspettavano che l’Italia sarebbe passata tanto rapidamente dalle parole ai fatti disponendo, in accordo con la Commissione Europea, il blocco all’export dei preziosi sieri prodotti dall’azienda AstraZeneca. “Le case farmaceutiche sono in ritardo con le forniture che avevano assicurato all’Unione europea, non solo all’Italia, e questi ritardi sono inaccettabili” ha spiegato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rispondendo alle domande nel corso della conferenza stampa con l’omologo francese Jean-Yves Le Drian.
Il grillino ha assicurato che il blocco delle 250mila dosi di vaccini anti-Covid prodotte da AstraZeneca “non è un atto ostile verso l’Australia”, ossia il Paese destinatario di questa forntiura, in quanto “abbiamo semplicemente applicato un regolamento europeo approvato il 30 gennaio”. Un provvedimento necessario spiega Di Maio convinto che “finché ci saranno questi ritardi, è giusto che i Paesi Europei blocchino l’esportazione verso i Paesi che non sono vulnerabili.
Solidarietà massima verso i Paesi in difficoltà, i Paesi in via di sviluppo ma allo stesso tempo” insiste il titolare della Farnesina, “Italia ed Europa devono pretendere dalle case farmaceutiche il rispetto dei contratti firmati e della tempistica nella fornitura di questi vaccini”. Insomma il gesto eclatante del governo italiano non è stato fatto colpendo alla cieca ma è stato pensato nei minimi dettagli in quanto è andato a colpire una fornitura destinata a un Paese rimasto sostanzialmente al sicuro dalla pandemia e che, ieri, ha registrato appena 9 casi.
GUERRA DI NERVI. Quel che è certo è che l’Italia è stato il primo Stato membro a decidere il blocco dell’export e probabilmente non sarà l’ultimo a farlo. Quasi fornendo coraggio ad un continente traumatizzato dal virus – ma non solo – perfino la Francia, per bocca del ministro della Salute Olivier Véran, fa sapere che presto potrebbe “seguire l’esempio dell’Italia”.
Del resto anche Bruxelles fa sapere che non c’è intenzione di tornare sulla decisione del blocco e che AstraZeneca può comunque avanzare una nuova richiesta per la fornitura a Canberra, che verrà analizzata sulla base del meccanismo sul controllo e la trasparenza dell’export. A spiegarlo è stato il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, che ha chiarito come “il messaggio dell’Ue è diretto a AstraZeneca” perché “le aziende che hanno siglato i contratti di pre-acquisto con l’esecutivo comunitario, devono fare il massimo per rispettarli”.
LE REAZIONI. Che la mossa di Di Maio sia stata chirurgica e sostanzialmente indolore lo si capisce anche dalle parole che arrivano dall’Australia. Il premier Scott Morrison, pur chiedendo che “i contratti siano rispettati”, ha spiegato di comprendere le ragioni che hanno spinto l’Italia a prendere questo provvedimento: “In Italia le persone muoiono al ritmo di 300 al giorno e quindi posso certamente capire l’alto livello di ansia che c’è lì come in molti Paesi europei”. A gettare acqua sul fuoco anche il ministro della Salute australiano Greg Hunt che, secondo la stampa locale, avrebbe dichiarato di aver “sollevato la questione con la Commissione europea attraverso più canali. In particolare abbiamo chiesto alla Commissione di rivedere questa decisione” minimizzando la portata dello stop all’export spiegando che l’Australia ha già ricevuto 300mila fiale da AstraZeneca.
Chi non l’ha presa bene è il primo ministro inglese Boris Johnson che si è scagliato contro la decisione italiana presa con l’avallo di Bruxelles. Secondo il leader del Regno Unito “La ripresa dal Covid dipende dalla cooperazione internazionale, e porre in atto restrizioni mette a rischio la battaglia globale dei vaccini” spiega Joohnson ricordando anche di aver avuto rassicurazioni da “Ursula von der Leyen sulla la volontà dell’Unione europea di non limitare le esportazioni” delle case farmaceutiche ma di esercitare un “controllo sulla trasparenza e sulla tracciabilità delle esportazioni”. “Ci aspettiamo che questi impegni siano rispettati” ha concluso il primo ministro inglese preoccupato che le ripercussioni possano, presto o tardi, colpire anche il suo Paese.