Brexit, c’è chi punta all’affare. La carica dei 500 trader d’oro. E dietro alcune ci sono pure banche disastrate

Con la Brexit c'è chi punta all'affare d'oro. Parliamo di quelle società che comprano e vendono oro e che devono essere autorizzate da Bankitalia. Sono 534.

C’è sempre chi fiuta il business. E ogni volta che c’è da fare i conti con i rischi indotti da uno shock, in questo caso la Brexit, ritorna l’eterno concetto dell’ “oro bene rifugio”. Il metallo giallo come antidoto contro l’incertezza. Così ecco che in questi giorni in molti cercano di cavalcare l’onda. Su alcuni giornali, per esempio, si sta facendo notare una pubblicità un po’ “cinica” del gruppo Bolaffi dall’eloquente titolo “Gold save the Queen”, seguito dall’altrettanto eloquente sottotitolo “La sterlina di carta crolla, quella d’oro decolla”. Giochi di parole e rime a parte, è chiaro che in questo momento a cercare di mettere più fieno possibile in cascina sono gli “operatori professionali in oro”. Si tratta in pratica di quelle società che comprano e vendono oro “in via professionale”, e che per far questo devono essere autorizzate dalla Banca d’Italia.

IL DETTAGLIO – Poi, certo, i furbi sono sempre dietro l’angolo. Ma se si analizzano gli operatori iscritti nell’elenco di palazzo Koch si entra dritti in un mondo composto dalla bellezza di 534 realtà. Queste, in pratica, commerciano tutto l’oro che può interessare in termini di investimento, dai lingotti fino alle cosiddette “monete di borsa”, tra cui le più famose sono le sterline, i marenghi italiani e i krugerrand sudafricani. In questo momento la percezione dell’affare è alta. Venerdì scorso, prima del weekend che avrebbe sancito la Brexit, l’oro era quotato a 1.258 dollari l’oncia. Ieri, per dire, ha chiuso a 1.313. Il discorso è sempre lo stesso. In un momento in cui l’incertezza per gli investitori è alta, prima a causa delle norme sul bail in e ora della Brexit, immancabilmente torna di moda il bene rifugio più famoso. Ma torniamo ai 534 operatori professionali dell’oro abilitati in Italia. Che tipo di società ci sono? La maggior parte di esse è in attività dal 2007, cioè da quando è scoppiata la crisi innescata dai mutui subprime americani. Poche le realtà attive dai primi anni 2000, mentre molto consistente è la fetta di quelle in piedi dal 2013. A dimostrazione di come la crisi finanziaria, di base, tiri molto il settore.

I GRUPPI – Quanto alla tipologia di società, un po’ paradossalmente non mancano quelle controllate da quelle stesse banche che spesso sono dietro fenomeni di crisi. Nell’elenco, per dire, c’è la Argor-Heraeus Italia, che fa capo alla banca tedesca Commerzbank e alla Zecca austriaca. Ancora, nella lista compare la Oro Italia Trading di Arezzo, controllata dalla disastrata Banca Etruria. Ad Arezzo l’oro è di casa. Tra gli altri grandi operatori c’è infatti la Italpreziosi, che rientra in quella stessa provincia toscana. Su Milano una delle società più grosse è la Prontogold. E a proposito di Zecca, nell’elenco dei soggetti abilitati dalla banca d’Italia spunta fuori l’Istituto Poligrafico dello Stato, società controllata al 100% dal ministero dell’economia. Insomma, è un mare magnum in cui c’è di tutto. E in cui molti adesso cercano di massimizzare gli incassi.

Tw: @SSansonetti