Brunetta sfida il Colle: affossato il salario minimo

Bocciato il salario minimo, così come la mediazione degli esperti di Mattarella: il Cnel di Brunetta sfida anche il Quirinale.

Brunetta sfida il Colle: affossato il salario minimo

Il documento finale che affossa il salario minimo viene approvato a maggioranza dall’assemblea del Cnel, con il voto contrario di Cgil, Uil e Usb. In particolare, su 62 (su 64) componenti presenti, 39 hanno votato a favore e 15 contro, 8 consiglieri non hanno partecipato. Si presenta tronfio e provocatore il presidente del Cnel, Renato Brunetta, in conferenza stampa dopo l’ok al testo. Ricorda che tempo fa Cgil e Uil erano contro il salario minimo e prende in prestito lo slogan della manifestazione della Cgil (“La via maestra, insieme per la Costituzione”), di qualche giorno fa per giustificare il suo no a una legge che esiste in 22 Paesi Ue su 27.

“C’è chi dice che basta una legge e chi, come questa casa, dice che fondamentale è la contrattazione. Noi non abbiamo fatto una scelta duale ma la scelta di dire che serve una molteplicità di strumenti specifici mirati per aiutare la contrattazione nei settori più fragili, dagli appalti al lavoro domestico, dai tirocini all’agricoltura. Conosciamo anche il da fare ma per questo non basta un salario minimo di 9 euro”, dice l’ex ministro.

Per Brunetta siamo nell’alveo della Costituzione

“Siamo nell’alveo della Costituzione. Sono d’accordo con Maurizio Landini (leader della Cgil, ndr) che questa è la strada maestra”. E la via indicata dalla Costituzione, ricorda l’ex ministro, è quella di affidare alle parti sociali il compito di governare le dinamiche del mercato del lavoro intrecciando i temi del salario a quelli della produttività e della qualità del lavoro. Omette Brunetta di ricordare anche l’articolo 36 della Costituzione che stabilisce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Articolo che la contrattazione collettiva non sempre è in grado di assicurare. Con una sentenza di “portata storica” la Cassazione, una decina di giorni fa, ha ammesso l’esistenza del “lavoro povero” e fissato il principio secondo il quale il magistrato può individuare un “salario minimo costituzionale” che “deve essere proiettato” ad assicurare “una vita libera e dignitosa” del lavoratore. Superando così i paletti della contrattazione collettiva e avendo come punto di riferimento, proprio la Costituzione.

La bussola, infatti, sostiene la Suprema Corte, deve essere l’articolo 36. Ma Brunetta si guarda bene dal raccontarla tutta e piega la Costituzione a suo uso e consumo. Il tema del salario minimo, dice, “è stato al centro dello scontro politico” e “noi abbiamo fatto la scelta di starne fuori. Di partire da una direttiva europea e non dai dibattiti parlamentari”. E la direttiva comunitaria – ha ricordato il Cnel – non impone l’obbligo di introdurre un salario minimo legale laddove la contrattazione collettiva abbia un tasso di estensione significativo (almeno l’80%). E l’Italia ha un tasso di estensione della contrattazione collettiva vicino al 100%, ricorda Brunetta.

L’ex ministro, come abbiamo detto prima, si sofferma sulle divisioni tra i sindacati sul salario minimo, con Cgil e Uil ferme sul sì – pur avendo, ricorda velenoso il presidente del Cnel, cambiato idea – e la Cisl che vi si oppone con le stesse argomentazioni di Brunetta. “Il Cnel non è diviso, lo sono i sindacati: quando il sindacato era unitario il Cnel deliberava unanimemente. Quando si è diviso questa cosa è apparsa anche al Cnel. È legittimo che Cgil e Uil abbiano cambiato idea, visto che due-tre anni fa Landini tuonava contro il salario minimo per legge, anche Camusso e poi abbiano cambiato idea. Legittimissimo ma hanno spaccato l’unità sindacale”.

Sul salario minimo tutto come previsto

Va da sé che è stata bocciata la proposta dei cinque consiglieri del Cnel, esperti nominati dalla presidenza della Repubblica, per la sperimentazione del salario minimo a partire dai settori più fragili. Nel documento la premessa era – in linea con quanto vanno predicando le opposizioni (tranne Iv) che hanno presentato la proposta dei 9 euro l’ora – che il salario minimo non va inteso come sostituto della contrattazione collettiva ma può ricoprire un ruolo complementare.

Approvato invece un emendamento del consigliere esperto Carlo Altomonte per il quale il Cnel potrebbe realizzare uno ‘’specifico, puntuale e sistematico monitoraggio’’ relativamente alle aree di maggiore criticità ed in relazione ai gruppi marginali e fragili di lavoratori. Intanto il governo prende tempo. Il 17 ottobre è previsto che la proposta delle opposizioni sbarchi in aula ma la maggioranza sta valutando un rinvio in commissione, per approfondire – va dicendo in giro – il documento del Cnel. Una notizia che manda su tutte le furie le opposizioni. Il governo fa “melina sulle spalle dei lavoratori sottopagati”, accusa il leader M5S, Giuseppe Conte.

“La presidente Meloni ama ripetere che lei ci mette la faccia. A mio avviso ci mette la faccia quando si tratta di fare qualche passerella mediatica, ma sul Salario minimo la faccia non ce l’ha messa, ha rimandato la palla al Cnel di Brunetta e oggi si compie il delitto perfetto. Il Cnel di Brunetta, come era immaginabile, ha fatto da sponda e addirittura rinvia alla contrattazione collettiva”. Il punto è, aggiunge l’ex premier, che non leggono le sentenze della Cassazione: poco tempo fa due belle sentenze hanno chiarito che la contrattazione collettiva è necessaria ma non sufficiente e che c’è necessità di un Salario minimo legale per attuare il principio costituzionale della giusta retribuzione. “Noi non demorderemo – ha concluso – Contrasteremo in tutti i modi questo disegno scellerato”.

Muro anche dal Pd: “Aspettiamo al varco governo e maggioranza. Non ci stancheremo di incalzarli se decideranno di fuggire”, dice la sua leader, Elly Schlein. Gongola invece, come facilmente prevedibile, la premier Giorgia Meloni. Dall’analisi del Cnel, dice, “si evince che un salario minimo orario stabilito per legge non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero e le basse retribuzioni”.