Cameron inchioda l’Europa. Se non cambia Londra è pronta a lasciare. Bruxelles tratta per scongiurare l’ipotesi Brexit. Il nodo più difficile resta quello dei migranti

Chi sognava un’Europa diversa con l’arrivo di Jean-Claude Juncker ormai più di un anno fa, ha avuto già da tempo il ben servito e la certezza che, in realtà, nulla è cambiato. Solo gli inglesi stanno dimostrando di non avere memoria corta. Per ora, a parte annunci vari in giro per l’Eurozona, solo la battaglia di David Cameron pare essere concreta. Tanto concreta quanto purtoppo isolata. E il presidente della Commissione Ue, d’altronde, lo sa. Non a caso solo pochi giorni fa è tornato sulla questione, “pregando” l’Inghilterra di tornare indietro, di ripensare sull’ormai famosa “brexit”. E astretto giro Cameron ha risposto. E lo ha fatto, se così si vuole dire, lanciando quattro obiettivi e un incoraggiamento diretti al presidente Ue Donald Tusk. Una sorta di desiderata che il premier inglese chiede affinché si possa dare l’avvio al “negoziato”. Il fine della lettera dunque è chiaro. O l’Europa accetta le condizioni oppure, presumibilmente già a giugno, gli inglesi andranno al voto per decidere sulla brexit, con un Governo che, a quel punto, caldeggerà l’ipotesi fuoriuscita. Tertium non datur. Insomma, in base alle risposte che arriveranno da Bruxelles, Downing Street deciderà se sollecitare il si o il no all’adesione.

TERTIUM NON DATUR
Londra chiede 4 condizioni chiare: l’opt-out, cioè la possibilità di chiamarsi fuori dalle clausole dei Trattati, di modo da avere maggiore spazio di manovra; maggiori tutele per i Paesi che non partecipano all’Eurozona con il formale riconoscimento che il mercato unico è “multicurrency”, di modo che la sterlina possa godere di condizioni analoghe a quelle dell’euro; più “sussidiarietà”, che dai tempi di Maastricht resta la parola magica inglese, attribuendo maggiore spazio e ruolo ai parlamenti nazionali. Infine, la questione, annosa, dell’accesso al welfare da parte degli immigrati intracomunitari. Londra – ha ribadito il premier considerando la richiesta “non negoziabile” – sollecita una sospensione di quattro anni prima del pieno accesso ai benefici e sussidi dello stato sociale per un cittadino non inglese.

ESORTAZIONI E PAURE
Infine, come detto, l’esortazione. La lettera a Tusk, infatti, si completa con l’esortazione a rendere la Ue più competitiva e meno burocratica. Ma il punto certo è uno soltanto: con la formalizzazione delle domande britanniche il processo che rischia di portare alla brexit è ormai incardinato. Sarà il piatto forte del summit di Bruxelles a metà dicembre: dall’esito del negoziato dipenderà l’andamento del referendum destinato a tenersi, probabilmente, fra giugno e dicembre 2016, in un Paese che resta spaccato fra favorevoli e contrari come mai prima d’ora. E con gli Euroscettici che continuano a conquistare fette di elettorato. Lo sanno bene i “grandi” d’Europa, tanto che anche Angela Merkel si è prontamente detta “del tutto fiduciosa” a un accordo. Inevitabile se si vuole evitare la brexit.