Caporalato in 13 brand dell’alta moda, maxi operazione della procura di Milano. Dieci maison “pronte a collaborare coi pm”

Ecco quali sono i 13 marchi dell’alta moda ai quali la procura di Milano ha chiesto documenti e contratti di subappalto

Caporalato in 13 brand dell’alta moda, maxi operazione della procura di Milano. Dieci maison “pronte a collaborare coi pm”

Oltre 280 lavoratori in “condizioni di sfruttamento” a causa di numerose “criticità” (così le definisce la Procura di Milano) per quanto riguarda le condizioni retributive, contributive, le condizioni di alloggi, salute e sicurezza sui posti di lavoro. Sono alcune delle irregolarità riscontrate dai Carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano nelle ispezioni effettuate negli opifici subappaltatori di 13 società del lusso.

Da Dolce & Gabbana a Prada fino a Versace e Gucci

Grandi marchi ai quali martedì il pm Paolo Storari ha inviato altrettante richieste di consegna di documentazione, sebbene non siano formalmente indagate, con l’invito a mettersi in regola con gli appalti della filiera prima di più invasive mosse dei magistrati. Tra queste figurano Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia, Off-White Operating.

Sono 36, ad esempio, i lavoratori che sarebbero stati sfruttati in due laboratori ispezionati tra agosto e settembre e in cui sono stati trovati “capi di abbigliamento Dolce&Gabbana”. Nelle carte, la Procura elenca i lavoratori trovati “sottoposti a sfruttamento” e collega quei laboratori alle filiere produttive dei marchi. E chiede documentazione sulla “governance”, sui “sistemi di controlli interni”, sulle “attività di audit”.

In totale i 134 brand valgono 12,4 miliari di euro

Secondo un calcolo de La Presse, in totale i 13 brand valgono circa 12,4 miliardi di euro fra fatturati, ricavi e valore della produzione. Bisogna “appurare il grado di coinvolgimento” dei 13 marchi “nell’utilizzo della manodopera sfruttata” negli opifici su cui i hanno condotto ispezioni, e la “idoneità dei modelli organizzativi” adottati dalle società per i controlli sulla filiera di appalti e subappalti nella produzione, scrive Storari.

Dieci marchi hanno già chiesto di collaborare

Un “invito” che ieri è stato accolto da una decina di maison che avrebbero manifestato l’intenzione di rimuovere le criticità, al fine di evitare il rischio di richieste di amministrazione giudiziaria o misure interdittive. Esperienza già vissuta in una mezza dozzina di casi precedenti (Alviero Martini spa, Armani Operations, Dior, Valentino e Loro Piana, per dirne solo alcuni).

Ecco le misure che le maison di alta moda devono attivare

Sono molte le misure adottabili che vanno dal rafforzamento degli organismi di vigilanza, all’internalizzazione di pezzi della produzione oggi completamente esternalizzata, alla revoca dei contratti con gli opifici cinesi dove vengono rimossi i “dispositivi di sicurezza” dei macchinari e ‘addestrati’ i lavoratori, spesso stranieri irregolari, costretti a vivere in magazzini dormitorio, a mentire in caso di controlli delle autorità, fino alla creazione di black listi di fornitori.

Dior ha creato 17 controllori interni

Pochi mesi fa Manufactures Dior per ottenere la revoca dell’amministrazione giudiziaria ha inserito “17 nuove figure professionali” che si occupano esclusivamente di “rendere più stringenti i presidi” sulla “catena di produzione” e della “risoluzione” dei contratti con gli appaltatori critici.

Nelle varie inchieste portate avanti in questi anni risulta indagata Tod’s, assieme a tre manager per caporalato. Per i pm, la spa sarebbe stata consapevole del sistema illecito utilizzato per ridurre i costi e aumentare i profitti.

“Servono misure concrete”

L’inchiesta è l’ennesima conferma delle nostre denunce sulla diffusa illegalità nella catena degli appalti e dei subappalti”, attaccano Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, “I riflettori della magistratura sono nuovamente puntati sulle filiere produttive del settore. È un’industria che vive un’incredibile schizofrenia: da una parte c’è l’eccellenza del Made in Italy e dall’altra la ricerca del massimo profitto con la minimizzazione dei costi, lo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori, la violazione dei loro diritti, i rischi legati al tema Salute e Sicurezza. Cos’altro deve succedere per intervenire con misure concrete, che tutelino le persone che fanno grandi i nostri brand e le aziende che rispettano le regole?”.

Dai sindacati uno stop al ddl Pmi. “Il committente deve essere responsabile”

“Crediamo sia inaccettabile – proseguono i sindacati – che i grandi marchi, beneficiari di bilanci record, possano avere una sorta di beneplacito che li esclude da ogni responsabilità, rispetto alle condotte delle ditte cui danno in appalto le lavorazioni. Per questo chiediamo che il Governo ci ascolti rispetto alle modifiche da apportare al ddl sulle Pmi, ora all’esame della Camera. Non è possibile escludere o alleggerire la posizione di responsabilità solidale del committente sugli appalti e subappalti, specialmente in presenza di presunti “modelli di controllo” interni. L’adozione di un modello organizzativo non può agire come clausola di esonero automatico da parte dei marchi capofila”, concludono i sindacati.