Cappellani a peso d’oro, costano come i generali

di Andrea Koveos

Anche quest’anno lo Stato non sarà laico e lo stipendio dei cappellani militari è salvo. Tanto paga il ministero della Difesa. Quanto costa allo Stato la cura spirituale dei militari impegnati in missione? Quasi 17 milioni di euro. Questa cifra comprende gli stipendi, le pensioni e il mantenimento degli uffici. Solo questi pesano 2 milioni di euro l’anno. I cappellani in attività sono 134 e i loro stipendi, equiparati a quelli dei generali, ammontano a 6 milioni e 300 mila euro. Per quanto riguarda le spese pensionistiche, non essendo chiaro nemmeno al ministro l’ammontare complessivo delle erogazioni, è possibile unicamente fare una stima approssimativa.
In ogni caso l’importo annuo lordo del trattamento pensionistico ordinario dei cappellani dovrebbe ammontare a circa 43 mila euro lordi. Considerando che i cappellani che sono andati in pensione negli ultimi 20 anni sono 156 l’importo complessivo è di 6 milioni e 700mila euro. C’è di più. I cappellani ricevono stipendi dallo Stato ma possono maturare la pensione in anticipo rispetto agli altri lavoratori dipendenti e rispetto al militare pari grado e non mancano nemmeno casi di baby-pensionati.

Il prelato, infatti, che porta a casa la stessa busta paga di un generale di brigata in congedo, ha diritto a una pensione fino a 4 mila euro al mese. Questo nonostante abbia prestato servizio per soli 3 anni. Compiuti i 63 anni, età per la quale un Generale di brigata è collocato in congedo, ha maturato il vitalizio. Un problema quello dei preti con l’elmetto finito un anno fa in discussione alla Camera dei deputati.

La proposta di alcuni parlamentari radicali era semplice “Al personale del servizio assistenza spirituale non compete il trattamento economico a carico dello Stato, ovvero del Ministero della difesa. In più il coordinamento con l’Ordinariato militare, il trattamento economico e previdenziale del personale del servizio assistenza spirituale è assicurato dalla diocesi dell’ambito territoriale del comando militare”.
Ma l’allora presidente Gianfranco Fini, dimostrando l’estrema devozione della partitocrazia alla sacralità della “casta ecclesiastica-militare, non fece una grinza: “Del resto, già in precedenti occasioni, sia in sede referente sia in Assemblea, sono stati dichiarati inammissibili emendamenti di identico contenuto, in quanto la materia trattata è oggetto di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana.
Una risposta inaccettabili per i firmatari di una proposta che mirava al taglio degli sprechi e dei privilegi.
Sostenere contrariamente alla legge e al diritto che la disciplina del trattamento economico dei cappellani militari sia tra le questioni tutelate dal Concordato, e quindi indirettamente elevata a norma di rango costituzionale, dimostrerebbe una scarsa conoscenza della materia. Se la Difesa rinunciasse a pagare i ricchi stipendi dei cappellani non inciderebbe in alcun modo sul Concordato perché non modificherebbe alcuna “intesa”, che di fatto è inesistente.
La recente riformulazione dell’articolo 17 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 che (Servizio di assistenza spirituale) conferma che “l’intesa” a cui fanno riferimento le diverse Istituzioni parlamentari non esiste.