Carlo Calenda ha trovato il colpevole delle bollette alte: il filo del contatore. La presa elettrica. Il palo della luce sotto casa. Tutto, insomma, tranne la realtà. In un paese dove ogni problema diventa un talk show, c’è sempre qualcuno che risolve la crisi energetica in un thread su X. Questa volta il protagonista è Calenda, che da settimane se la prende con i “costi di rete”, come se gli elettrodotti avessero improvvisamente iniziato a chiedere lo stipendio.
Peccato che Arera, cioè l’Autorità che regola davvero le tariffe, presenti da settimane cifre un po’ meno teatrali. Servizi di trasporto e misura: 20,1%. Oneri di sistema: 10,3%. Il resto è costo dell’energia, quella che compriamo ai mercati internazionali perché il nostro sistema elettrico è ancora impastato di gas. È scritto nero su bianco nei documenti ufficiali. Ma è più semplice raccontare che ci stanno spennando con i cavi.
I dati sono noiosi, ma si ostinano a esistere
Il prezzo dell’elettricità in Italia resta alto per una ragione molto semplice: produciamo buona parte dell’energia usando centrali a gas. E il gas lo compriamo dopo aver tagliato con l’accetta i rapporti con il fornitore più grande che avevamo. Al posto del metano russo via tubo, abbiamo scelto Gnl da far arrivare via nave, rigassificare e distribuire. Un processo più costoso. Questo significa che partiamo da un prezzo all’ingrosso più elevato. E la bolletta segue.
Le statistiche europee lo mostrano con una calma quasi irritante. I paesi che dipendono meno dal gas hanno avvertito la crisi, poi hanno recuperato. L’Italia ha avvertito la crisi, poi ha continuato a pagarla. Per questa ragione le famiglie italiane si ritrovano bollette più pesanti, non perché le reti italiane siano improvvisamente diventate Versailles elettriche da illuminare con diamanti.
Chiunque abbia guardato i dati Eurostat sulla scomposizione della bolletta sa che il peso della rete in Germania è spesso più alto che in Italia. Ma lì se ne discute, si pianificano investimenti, si decide se calmierare o meno i costi. Da noi, invece, il dibattito è ridotto a un colpevole comodo. Il palo della luce, appunto.
Bollette, il punto che Calenda evita con cura
Le reti servono a far arrivare la corrente. Senza quelle, la spina nel muro è solo arredamento. E quei costi vengono regolati, pianificati, diluiti negli anni. Le oscillazioni violente le causa il mercato all’ingrosso dell’energia, non l’addetto che sostituisce il trasformatore vicino al supermercato. Lo ripete Arera da mesi: la discesa o la salita della bolletta dipende quasi interamente dalla componente energia. Quando cala il prezzo del gas, le bollette scendono. Quando sale, salgono.
Quindi sì, si può continuare a dire che la rete pesa troppo. È un modo per parlare molto senza toccare il tema che brucia: l’Italia non ha ancora fatto il salto alle rinnovabili. Autorizzazioni bloccate per anni, veti incrociati, regioni che litigano sui colori delle pale eoliche, un Paese intero che vuole l’energia pulita ma solo nel giardino degli altri. E poi si cercano i colpevoli dove fa meno male. Nel contatore. Nell’armadio grigio della cabina elettrica. Una comicità involontaria.
Il problema è strutturale: finché la produzione elettrica resterà legata al gas, la bolletta continuerà a essere la radiografia di eventi che succedono a migliaia di chilometri. La via d’uscita esiste, ma richiede lavoro lungo, noioso, non da talk show: rinnovabili, accumuli, gestione flessibile della domanda. Tutto ciò che, nelle interviste-lampo, resta sullo sfondo.
Calenda può continuare a prendersela con la rete. Intanto la rete continua a fare quello che fa: portare l’elettricità nelle case. Sarebbe già qualcosa se la politica facesse altrettanto.