Anche Confindustria alza la voce contro il governo responsabile di non essere riuscito ad arginare e a dare risposte al caro-energia che zavorra le imprese. “Siamo preoccupati perché assistiamo a una sorta di degrado del sistema industriale e per il calo continuo della produzione connesso alla riduzione dei consumi energetici. Avevamo chiesto un intervento deciso del governo dal punto di vista energetico, ma non vediamo né il senso di urgenza né il coraggio di affrontare una manovra strutturale”, ha denunciato Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’Energia sul Sole 24 Ore, ritenendo “un intervento sull’energia non più rinviabile”.
Confindustria: manifattura italiana zavorrata dai costi dell’energia
Il “Rapporto industria 2025” realizzato dal Centro studi di Confindustria conferma quanto i costi energetici, che la guerra in Ucraina ha fatto impennare, pesino sulle performance delle nostre imprese. La manifattura italiana è “un pilastro” dell’economia del Paese e mantiene un ruolo rilevante anche nel contesto internazionale: è l’ottava manifattura al mondo, la seconda in Europa e genera il 15% del Pil nazionale, percentuale che raddoppia considerando l’indotto. In Italia è responsabile di quasi il 35% degli investimenti complessivi, la quota sale al 50% se si considerano i soli investimenti in ricerca e sviluppo. Eppure ancora si fanno i conti con una dinamica “anemica” della produttività e con gli alti costi dell’energia che rappresentano “un freno” per la competitività.
Lo shock energetico più forte in Italia rispetto agli altri Paesi europei
Punto di forza rimangono la qualità elevata dei prodotti e i prezzi competitivi, che sono il traino dell’export nazionale: tra il 2015 e il 2024 le vendite di manufatti italiani all’estero sono cresciute mediamente del 2,4% all’anno, un ritmo nettamente superiore a quello della Francia (+0,8%) e della Germania (+1,1%). Ma lo shock energetico sui costi delle imprese è stato più marcato in Italia rispetto a Francia e Germania.
Già prima della pandemia, l’industria manifatturiera italiana, insieme a quella tedesca, presentava un’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione leggermente superiore rispetto a quella francese. Con l’escalation dei prezzi, l’incidenza è esplosa e l’Italia è stato in assoluto il paese più colpito. A distanza di 3 anni dallo shock, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione, in Italia, resta sopra la media 2018-2019 di oltre un punto percentuale. Per la Francia lo shock è invece quasi del tutto riassorbito, mentre la Germania segna un +0,6 punti percentuali.
L’aumento dei costi eterogeneo tra i settori
Secondo il rapporto, l’aumento dei costi energetici è stato eterogeneo tra settori. In quasi tutti i Paesi, i settori più colpiti sono stati quelli energy intensive, a partire dalla metallurgia e in Italia questo settore è stato il più colpito in assoluto. Hanno registrato un importante impatto anche i settori di ceramica, vetro, cemento, gesso, laterizi e calce. Il rincaro è stato marcato nei settori del legno e della gomma-plastica, con un aumento dell’incidenza dei costi energetici rispetto al pre-pandemia di circa +1,5 p.p., contro meno dello 0,5 in Germania e Francia. Negli altri settori, a eccezione della carta e stampa, dell’elettronica e dei mobili e altre industrie, gli aumenti sono più contenuti e sempre inferiori a un punto percentuale, ma l’Italia rimane comunque il Paese più colpito in termini relativi.
A partire da febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni sulla Russia hanno determinato forti pressioni inflattive sul gas e sui beni energetici; nello stesso periodo hanno continuato a crescere i prezzi delle materie prime alimentari. L’Istat ha segnalato che in Italia il prezzo al consumo dei beni energetici è aumentato da ottobre 2021 a novembre 2022 del 76%, in misura ben maggiore rispetto alla media dell’area euro (38,7%), dell’Ue27 (36,8%) e degli altri principali paesi europei: Germania (42,7%), Francia (21,1%) e Spagna (2,9%).