Caso Moussa Diarra, l’opposizione all’archiviazione dei legali della famiglia prova a ribaltare la ricostruzione della Polfer

Le carte dell’opposizione mostrano chat e immagini che puntano a smontare la ricostruzione della morte di Moussa Diarra

Caso Moussa Diarra, l’opposizione all’archiviazione dei legali della famiglia prova a ribaltare la ricostruzione della Polfer

Chissà quante volte deve morire ancora Moussa Diarra, giovane maliano caduto sotto i colpi della Polfer alla stazione di Verona il 20 ottobre 2024. La richiesta di archiviazione sembrava l’ultimo capitolo. L’opposizione presentata dagli avvocati della famiglia – Paola Malavolta e Francesca Campostrini del Foro di Verona, Fabio Anselmo e Silvia Galeone del Foro di Ferrara – costruisce invece un contro-racconto che rilegge ogni dettaglio di quelle ore.

Le immagini che circolano prima dell’interrogatorio

Il punto cruciale, per i legali di Diarra, arriva dalle analisi sul telefono dell’agente che ha sparato. I video della stazione risultano condivisi in una chat WhatsApp interna già alle 7.50, molto prima dell’interrogatorio e molto prima che quei filmati venissero depositati nel fascicolo e messi a disposizione della difesa. Le sequenze che dovrebbero guidare un’indagine terza scorrono negli smartphone degli stessi agenti coinvolti. L’ipotesi di versioni allineate diventa, per i difensori, una traccia digitale verificabile.

Secondo la ricostruzione ufficiale l’intervento scatta all’improvviso, alla vista di Moussa nel salone della stazione. I messaggi interni raccontano altro: foto del ragazzo inviate alle 6.38, immagini dei danneggiamenti, indicazioni operative, scambi continui nella chat di reparto. L’inseguimento appare, nella lettura dell’opposizione, come esito di una ricerca mirata, costruita minuto dopo minuto, più che come reazione istintiva di due agenti colti di sorpresa.

In questo contesto la decisione di uscire solo con la pistola assume, per i legali della famiglia, un peso drammatico. Gli ordini di servizio indicano l’agente che ha sparato come operatore designato al taser, eppure taser, sfollagente e radio di reparto restano in armadietto. La Polizia Locale, aggredita due ore prima dallo stesso Moussa, sceglie protezioni e distanze, un assetto prudente persino dopo un contatto fisico diretto.

La dinamica dei sette secondi e il coltello che non taglia la narrazione

Anche le immagini delle telecamere stridono con il racconto accolto dalla Procura. Lo spazio alle spalle dell’agente risulta ampio, libero, ben visibile nei frame. Il tempo utile alla ricostruzione è una clessidra spietata: sette secondi dal momento in cui il poliziotto esce sul piazzale a quello in cui Moussa cade a terra. In quei sette secondi la versione dell’agente Polfer concentra valutazioni, avvertimenti verbali, un colpo “fuori sagoma”, una pausa, la mira al torace, un terzo colpo presentato come “ragionato”. Per i difensori, osservata con rigore, la sequenza perde credibilità. Anche il consulente tecnico della Polizia Scientifica, nelle conclusioni citate dall’opposizione, registra la rapidità dei tre spari.

Poi c’è il coltello. L’oggetto impugnato da Moussa viene descritto nell’atto come posata seghettata in plastica e metallo, utensile domestico con capacità lesiva limitata. Sulla reale portata di un oggetto simile contro una divisa spessa come quella degli agenti ferroviari, l’opposizione segnala un vuoto nell’accertamento tecnico. Per i legali della famiglia, proprio su questo terreno si incrinano le basi della proporzione tra offesa e difesa, cardine della legittima difesa.

L’ultima immagine arriva ancora da un telefonino di un collega: Moussa a terra, ancora vivo, e l’agente che invita a riprendere il coltello prima di tutto. Nelle carte l’episodio viene indicato come prova dell’urgenza di registrare la scena mentre la vita scivola via davanti alla telecamera.

Gli avvocati chiedono l’imputazione coatta per omicidio colposo con ipotesi di eccesso colposo in legittima difesa. Il giudice dovrà decidere se aprire un varco dentro un’indagine che, sin dalle prime ore, si era chiusa su una sola versione.