Cassa depositi e intrecci. Così il gasdotto Tap salva Saipem: pronta una maxi commessa da un miliardo di euro

Intecci incredibili. La società di Stefano Cao, Saipem, è indirettamente controllata da CdP. Che a sua volta ha interessi anche sul gasdotto. Ecco perché.

Qualcuno dice che è soltanto una passione da feticisti degli incroci. Ma l’incrocio c’è tutto ed è anche piuttosto vistoso. Ad avvantaggiarsene, in prima battuta, è Saipem. La società di ingegneria guidata dall’Ad Stefano Cao, attiva nel settore petrolio e gas, si è aggiudicata uno degli appalti più importanti per la costruzione del Tap (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che porterà il gas dai giacimenti dell’Azerbaijan alle coste della Puglia.  Si tratta della realizzazione del tratto off shore del tracciato, 105 chilometri che attraverseranno il Mar Adriatico dall’Albania alla Puglia. La società che gestisce il Tap non ha comunicato il valore di aggiudicazione, ma secondo quanto risulta a La Notizia si aggirerebbe intorno a 1 miliardo di euro. Davvero niente male per Saipem, dopo le recenti difficoltà e i conseguenti tracolli in Borsa. Insomma, sembra proprio che il Tap abbia gettato a Saipem una bella ciambella di salvataggio. Poi però, se si scava un po’, si arriva all’incrocio.

IL DETTAGLIO – Si dà il caso che Saipem sia indirettamente controllata dalla pubblica Cassa Depositi e Prestiti, guidata dal presidente Claudio Costamagna e dall’Ad Fabio Gallia. Di recente, infatti, il 12,5% di Saipem è stato ceduto dall’Eni di Claudio Descalzi al Fondo Strategico italiano, braccio operativo proprio di Cassa Depositi. L’Eni, dal canto suo, continua a conservare in Saipem il 30%. Ma la quota di maggioranza del Cane a sei zampe, pari al 26,3%, fa capo ancora al Cassa Depositi. Insomma, la società del Tesoro (e in piccola parte delle fondazioni bancarie) ha una presa indiscutibile sulla società di ingegneria. Ma Cassa Depositi ha una presa indiscutibile anche sulla società di gestione del Tap, quella che ha appena assegnato l’appalto da 1 miliardo circa a Saipem. I maggiori azionisti del gasdotto, infatti, sono gli azeri di Socar e gli inglesi di British Petroleum con un 20% ciascuno. Un altro 20% era in mano ai norvegesi di Statoil, che però alla fine dell’anno scorso hanno ceduto il pacchetto all’italiana Snam. Che oggi, quindi, si trova in mano un 20% del Tap come gli inglesi e gli azeri. Proprio dietro Snam, però, c’è ancora una volta Cassa Depositi, che tramite Cdp Reti ha in pancia il 28,9% della società sulla cui tolda di comando tra poco dovrebbe sistemarsi l’ex manager Eni Marco Alverà. Per carità, sarà pure una suggestione da feticisti degli incroci azionari. Ma è un fatto che il Tap, che ha tra i suoi maggiori azionisti una società controllata da Cassa Depositi, ha appena assegnato un maxi appalto per la costruzione di un tratto di gasdotto a Saipem, società indirettamente controllata dalla medesima Cdp.

LO SVILUPPO – Ad ogni buon conto la società guidata da Cao è la prima italiana ad aver messo le mani su una fetta consistente degli appalti per il gasdotto. Non che altre aziende del Belpaese non avessero ottenuto contratti. Ma si trattava di fette non così consistenti, spesso incamerate in joint venture con gruppi esteri. Le altre mega porzioni di commesse, invece, erano finora andate a grandi gruppi esteri, in primis tedeschi (Salzgitter Mannesmann e Siemens). L’Italia, quindi, ottiene un vero risultato soltanto ora, proprio nel momento in cui ha trovato spazio nell’azionariato del Tap. La vera scommessa del governo guidato da Matteo Renzi, che nel decreto Sblocca Italia aveva fatto in modo di favorire il gasdotto, consisteva nel far arrivare ricche commesse all’Ilva, soprattutto nella fornitura di tubi. Ma le offerte dell’acciaieria sono sempre state bocciate dal Tap. A incassare alla fine è Saipem, che in parte mette una pezza ai ricchi contratti persi con il blocco del progetti di altri gasdotti come South Stream e Turkish Stream.

Tw: @SSansonetti