Casta continua sui vitalizi. Gli ex parlamentari in trincea contro il taglio

Gli ex inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama non vogliono mollare un centesimo dei vitalizi maturati

Giù le mani dal vitalizio. Gli ex deputati e senatori non hanno preso per niente bene l’accelerazione che martedì prossimo, 30 maggio, porterà il Aula alla Camera la proposta di legge di cui è primo firmatario Matteo Richetti (Pd). Uno dei fulcri di quello che il deputato “renziano” ha definito come “un gesto fondamentale per riconnettere sentimentalmente la politica e il Parlamento con i cittadini” è il ricalcolo col contributivo di tutti gli assegni in essere. Ricalcolo che secondo le stime del presidente dell’Inps, Tito Boeri,  che da anni conduce una battaglia contro l’odiato privilegio, farà risparmiare alle casse di Camera e Senato 760 milioni di euro nei prossimi 10 anni. Parecchi soldi, in tempi di vacche magre.

Legge-volantino – Ma in nome dei “diritti acquisiti”, gli ex inquilini di Montecitorio e Palazzo Madama non vogliono mollare un centesimo. La proposta Richetti “è un obbrobrio giuridico che sancisce il principio gravissimo che le norme per andare in pensione vigenti a una certa epoca, possono essere cambiate retroattivamente”, ha attaccato Antonello Falomi (4.852 euro netti al mese di vitalizio), ex parlamentare di Rifondazione comunista oggi presidente dell’Associazione ex parlamentari. Si tratta nientemeno che di “un colpo duro allo Stato di diritto”, ha aggiunto Falomi: “Nessun cittadino, nessun pensionato avrà più la certezza che i diritti che gli sono stati garantiti dalle leggi dello Stato, saranno rispettati in futuro. Si tratta di una legge palesemente incostituzionale che farà la fine di tante leggi-volantino fatte per guadagnare qualche consenso elettorale, bocciate dalla Corte”. Sarà.

La sforbiciata – Anche per un altro illustre ex parlamentare, Giuseppe Gargani (6 legislature con la Dc e assegno da 6.039 euro netti al mese), la proposta di legge “contravviene” a “principi elementari e sacrosanti” e “quindi è contraria alle norme costituzionali”. Per Gargani, inoltre, “l’autonomia costituzionale e il ruolo di rappresentanza politica è il fulcro della Costituzione che abbiamo confermato con il referendum del 4 dicembre; almeno i deputati in carica dovrebbero essere gelosi delle prerogative e di questa indipendenza nei confronti di qualsiasi altro potere come stabilisce l’art. 64 della Costituzione”. Perciò “modificare fittiziamente questo status per far diventare i parlamentari dipendenti pubblici come vuole la proposta Richetti è un vulnus alla democrazia e alla indipendenza parlamentare”. Insomma, l’andazzo è questo. Del resto, se la proposta Richetti dovesse diventare legge – il vero scoglio resta Palazzo Madama, lì dove Pd e Movimento 5 Stelle, favorevoli a intervenire sull’odiato privilegio, si fermano a 134 voti (maggioranza 161) – molti ex deputati e senatori si vedranno praticamente dimezzare le somme maturate con il decisamente più vantaggioso retributivo. Il recordman del vitalizio, l’ex Dc e An Publio Fiori, rischia di veder scendere il suo assegno da 10.131 a circa 6mila euro netti al mese. E anche per altri pezzi da novanta come Massimo D’Alema (5.523 euro), Walter Veltroni (5.504), Gianfranco Fini (5.582), Paolo Cirino Pomicino (5.411), Franco Marini (6.457) e Ciriaco De Mita (5.862) il taglio oscillerebbe fra i 2 e i 3mila euro.

Mosca bianca – Certo, qualcuno che si è detto pronto a rinunciare all’assegno c’è. Ma si tratta di un caso limite: quello di Piero Craveri. Il nipote di Benedetto Croce, in carica al Senato per appena una settimana (2-9 luglio 1987) coi Radicali e oggi titolare di un assegno da 2.381 euro netti al mese, ha detto che se si intervenisse sui casi come il suo non avrebbe nulla da obiettare. Chiarendo però di essere contrario all’abolizione tout court. Non la pensano così alcuni suoi ex colleghi, i quali hanno deciso di fare ricorso contro il contributo di solidarietà scattato il 1° maggio scorso a Montecitorio (ma non a Palazzo Madama) per gli assegni di importo superiore ai 70mila euro lordi annui, che porterà a un risparmio di circa due milioni e mezzo di euro (l’1,7 per cento di quanto la Camera ha speso nel 2016 per pagare i vitalizi degli eletti in pensione). E questo non è che l’inizio.

Twitter: @GiorgioVelardi