Che errore considerare le banche un nemico. Tutti a sparare sugli istituti di credito mentre a luci spente c’è chi le sta svuotando

Alzi la mano chi sa indicare un bersaglio più comodo delle banche. Negli anni del credito facile hanno riempito le tasche a un giro ristretto di amici degli amici, lasciando le briciole alla cosiddetta economia reale, fatta di milioni di laboriose piccole e medie imprese. I manager si sono spartiti stipendi e bonus da favola, ripianando talvolta i conti non brillantissimi con la vendita di titoli improbabili ai risparmiatori più ingenui. Quando il sistema poi è entrato in crisi sono arrivati diversi fallimenti, scongiurati da salvataggi dove si sono salvati tutti tranne che eserciti di obbligazionisti e investitori. Per questo le banche hanno oggi la reputazione più bassa di sempre, e viste le porcherie che hanno combinato se la meritano tutta. Le economie moderne però non possono fare a meno del credito e dei servizi finanziari.

Dai tempi dei Medici a Firenze, la finanza è un sostegno determinante per lo svolgimento delle attività d’impresa. Dunque gli Stati hanno difeso questo settore, in passato persino nazionalizzando gli istituti di credito quando ci si è imbattuti in grandi scandali e in profonde crisi di sistema. In Italia, dove la politica mette sempre le mani dappertutto, le banche sono state sottratte formalmente al controllo dei partiti con la riforma che ha trasferito la gestione ai manager e l’azionariato alle Fondazioni bancarie. Fondazioni chiamate a redistribuire sul territorio i dividendi sotto forma di iniziative benefiche. I vertici delle Fondazioni, in gran parte di nomina politica, invece di fare i filantropi si sono messi però a giocare al Risiko bancario, ubbriacandosi nelle partite di potere della grande finanza e finendo schiacciati dai grandi fondi internazionali. Così il controllo delle nostre banche è finito chissà dove tra una Borsa di Shangai e un colosso bancario di New York. Nel frattempo qui gli istituti si sono dati da fare per campare, chiedendo aiuto ai governi di turno, un giorno strappando qualche vantaggio e un altro sborsando tasse e quattrini freschi per far quadrare i conti dello Stato. Al finale di partita è chiaro che non ci hanno perso, ma sostenere oggi che le banche siano un nemico del Paese e dei loro stessi correntisti risponde a una visione tanto parziale quanto populista. Le banche italiane stanno soffrendo come tutto il Paese, costrette a impressionanti cure dimagranti (anche sul personale) e a guadagnare pochissimo dalle attività tradizionali a causa di un costo del denaro ormai ridotto a zero da anni.

SALVATAGGI NECESSARI
Per questo i governi di turno, compreso l’attuale, hanno lavorato parecchio ai dossier del credito, realizzando una riforma non più rinviabile come quella delle Popolari, salvando di fatto (con soldi pubblici) il Monte dei Paschi e offrendo attraverso agevolazioni varie un po’ d’ossigeno a un comparto basilare per la ripresa dell’economia. Scelte che hanno fatto diventare banalmente il Governo “amico” delle banche “nemiche” degli italiani, quando invece le banche servono al Paese e il nemico è quell’Europa che ci ha costretto ad accettare regole suicide come i vincoli di Basilea; quella Bce che dirige il traffico stabilendo con assoluta discrezionalità se i patrimoni vanno bene o se l’istituto A deve fondersi con l’istituto B; per non parlare dei mercati che a colpi di spread o di giganteschi speculazioni gonfiano o deprimono il valore dei gruppi bersaglio. È grazie a queste regole che le banche sono costrette a vendere in fretta i loro crediti poco esigibili, creando di fatto un uovo mercato – quello degli Npl – dove soggetti non sempre limpidissimi stanno facendo affari d’oro, guadagnando in silenzio e senza la critica di alcuno tutto quello che le banche invece stanno perdendo, portandosi dietro pure le facili contestazioni di chi ha bisogno di un nemico (meglio se già odiato di suo) per acquisire popolarità e merito sociale.