“Ci prendono per i fondelli, sulle tasse solite promesse”. Parla la capogruppo M5S in commissione Bilancio del Senato, Pirro

“Abbiamo proposto come M5S di potenziare la digital tax sui colossi del web. Ma per il governo miliardari intoccabili”

“Ci prendono per i fondelli, sulle tasse solite promesse”. Parla la capogruppo M5S in commissione Bilancio del Senato, Pirro

Giusto martedì la premier Giorgia Meloni ha rilanciato lo slogan del taglio delle tasse per il ceto medio. Ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio ha certificato che per operai e impiegati sono salite.
Elisa Pirro, capogruppo M5S in commissione Bilancio del Senato, che ne pensa?
“Quella dell’Upb è solo l’ultima conferma in ordine di tempo. Il Governo Meloni in realtà con una mano toglie e con l’altra pure. Le simulazioni di commercialisti e Caf, subito dopo l’ultima Legge di bilancio, avevano già dimostrato che con la trasformazione del taglio del cuneo da contributivo a fiscale buona parte di 13 milioni di lavoratori dipendenti coinvolti ci andavano a perdere, soprattutto quelli delle fasce più deboli. Era quindi apparso sin da subito chiaro che il 60% dell’intera Manovra se ne era andato per una misura che peggiora le condizioni degli italiani. A tutto ciò si aggiunga l’aumento dell’Iva sui prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile, l’aumento delle accise sui carburanti, la cancellazione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa da parte dei giovani, la cancellazione o depotenziamento di ben 15 agevolazioni fiscali edilizie, il taglio delle detrazioni per i redditi medi”.

Peraltro, lo stesso ministro Giorgetti ha frenato sull’annuncio della premier.
“Mi pare la prova, se per caso ce ne fosse ancora bisogno, della totale liquefazione delle promesse fiscali del Governo. La premier lo sa, per questo prova a vendere tappeti anche davanti all’assemblea di commercialisti, annunciando un taglio dell’Irpef sul ceto medio che non c’è e non ci sarà. Non c’è perché l’intervento doveva essere finanziato con il gettito del concordato fiscale, che invece si è rivelato l’ennesimo fallimento, con gettito ridicolo e adesioni al 13% della potenziale platea degli autonomi interessati; non ci sarà perché Giorgetti, ormai degno del più austero tecnocrate europeo, non vuole minimamente mettere sul piatto 4 miliardi, che sarebbero peraltro il minimo sindacale per un taglio dell’Irpef sul ceto medio. Nell’ambito dell’esame al Senato del Dl acconti Irpef, esaminato propro ieri, noi abbiamo proposto di potenziare la digital tax sui colossi del web, che la Meloni d’opposizione chiedeva di fare, per trovare le risorse da mettere appunto a disposizione di in vero taglio dell’Irpef sul ceto medio. Questo emendamento è stato bocciato”.

Per l’economia italiana il 2024 si è concluso con una crescita dello 0,7 per cento, per la prima volta dal 2021 al di sotto dell’area dell’euro.
“Non solo il 2024 si è chiuso con una crescita scheletrica del Pil al di sotto della media dell’Eurozona, ma anche le previsioni 2025 e 2026 di tutti gli osservatori economici collocano la crescita economica italiana al di sotto della stessa media. Non può che essere l’effetto di una politica economica austera, autoimposta dalla supina accettazione di un Patto di stabilità che prevede il calo della spesa reale nei prossimi anni, dall’ossessione per l’avanzo primario, per le privatizzazioni e per la moderazione salariale. Siamo a una forma di neoliberismo anni ’80 che ha fermato il Paese, inchiodandolo a un’economia da bar in cui c’è un dilagante lavoro povero, altro che boom occupazionale”.

Il ricorso all’indebitamento per un aumento della spesa per difesa in rapporto al Pil potrebbe avere conseguenze rilevanti sulla riduzione del debito.
“L’Upb dice una cosa chiara e fisiologica. Il Governo italiano ha approvato in Europa un Piano che si chiama ReArm Eu e che prevede tra i suoi punti qualificanti fino a 800 miliardi per il riarmo, da recuperare anche attraverso lo scorporo degli investimenti militari dal Patto di stabilità. Questo può sterilizzare gli effetti sul deficit ma non sul debito, che quindi aumenterà. E qui le ipocrisie e le contraddizioni del Governo si sprecano. Prima il ministro Giorgetti ha detto che l’Italia non richiederà questo scorporo, ma proprio nei giorni scorsi il sottosegretario alla Difesa Perego ha detto che bisognerà farlo. Andremo quindi incontro a nuovo debito, ma non per sanità, istruzione, innovazione o sviluppo industriale. E c’è chi vuole arrivare al 5% delle spese militari in rapporto al Pil”.

L’erosione dei salari reali ha contribuito a sostenere la domanda di lavoro sebbene abbia favorito una diminuzione dell’intensità di capitale e una riallocazione dell’occupazione verso settori a limitato valore aggiunto. Altro motivo per dire sì al salario minimo?
“Certo, un motivo in più per il salario minimo, ma anche per una vera politica di investimenti in innovazione. Solo con l’innovazione si creano valore aggiunto, produttività e salari più alti. Se non investi ma ti accontenti di quella che alcuni economisti chiamano ‘turistificazione’ dell’economia, condanni il Paese al lavoro povero, alla crescita zero e al declino”.

L’Upb dice sul Pnrr che il rischio di non realizzare interamente la spesa entro il 2026 è significativo.
“Non è un rischio significativo, è una certezza. Abbiamo avuto 5 rimodulazioni e due ministri, Fitto e Foti. Una farsa. E pensare che quel poco di Pnrr che il Governo è riuscito a spendere ha comunque salvato il Paese dalla recessione certa”.