La Sveglia

Con le chiamate a Grillo Draghi ha scelto la politica

Altro che premier tecnico. Il governo guidato da Mario Draghi è un governo politico, politicissimo. Lo scontro con Conte ha scoperto le carte.

Con le chiamate a Grillo Draghi ha scelto la politica

L’errore sta nel peccato originale di avere creduto, ancora una volta, che possano esistere governi “non politici”. Li chiamano “tecnici”, “di responsabilità”, di “unità nazionale” ma non sono altro che governi che nessuno avrebbe il coraggio di proporre alle elezioni.

Mario Draghi è il maggior esponente dei liberisti di casa nostra. In incognito, ancora per poco

Come si potesse pensare che il governo dei migliori non facesse “politica” gestendo i miliardi del Pnrr è il segreto di Pulcinella: è l’irrefrenabile desiderio dei servi di servire a creare l’uomo forte. Così continuiamo a legger che Mario Draghi sarebbe un compitissimo amministratore delegato che non si sgualcisce i polsini della camicia occupandosi di quella cosa brutta, sporca e cattiva che è la politica. Curioso che quelli che raccontano questa fanfaronata poi siano gli stessi che lamentano il declino della politica, proprio loro che ne sono i principali artefici.

Il governo Draghi è un governo politico, politicissimo, mago nel tirare i fili della partitocrazia e prima ce ne accorgiamo meglio è per tutti, anche per Mario Draghi che finalmente può svestirsi da questo abito talare laico che lo ingessa in un personaggio poco credibile. Del resto cosa c’è di più politico del decidere dove riversare i soldi che arrivano dall’Europa, quale capitolo di bilancio preferire e quale capitolo svuotare, cosa c’è di più politico di improntare una comunicazione, più o meno chiara ed efficiente, sulle azioni del governo e sui rapporti con il Parlamento.

Cosa c’è di più politico di rappresentare l’Italia in un momento in cui l’Occidente si ritrova ad affrontare una guerra alle porte con il rischio quotidiano che divampi, una crisi climatica che chiede soluzioni urgenti e dispendiose, una crisi energetica che costringe a prendere scelte avendo in testa il Paese nei prossimi 30 anni.

Mario Draghi non è un amministratore delegato rinchiuso nel suo ufficio polveroso a firmare carte (e anche quello a ben vedere è l’apice di una politica aziendale, tanto per dire) ma è l’uomo che a capo del governo nelle scorse settimane ha assistito senza un battito di ciglio allo sfaldamento del primo partito in Parlamento con l’inquietante tranquillità di chi aveva già in mano il copione e conosceva le scene successive.

Davvero c’è qualcuno disposto a credere che le mosse del ministro Di Maio non fossero concordate e condivise con il presidente del Consiglio? Nella migliore delle ipotesi, immaginando che Draghi abbia semplicemente svolto il ruolo di confidente non consigliere, c’è qualcuno che non ha notato come la mossa di Di Maio abbia blindato i numeri del governo poco prima di mettere mano al Superbonus e probabilmente al Reddito di cittadinanza?

Mario Draghi negli ultimi giorni si è seduto nei più importanti tavoli del mondo per decidere le sorti energetiche del Paese, ha accettato che la Nato rinforzasse la propria presenza nel nostro Paese, ha accolto la richiesta della Lega di rimandare (che in politichese significa “provare ad affossare”) due progetti di legge su cannabis e cittadinanza.

Fortissimo sulle materie economiche (gestite a senso unico convergendo sui desiderata di Confindustria) Mario Draghi ogni volta che si è trattato di decidere su diritti, povertà, ambiente e fragilità si è finto un commissario di passaggio; quando si tratta di gestire soldi (molti soldi) e rapporti internazionali invece sfoggia il piglio del grande leader. Comodo così: il banchiere Draghi scarica la bad company sul Parlamento e si tiene la good company in tasca, come uno squalo qualsiasi intorno a un’Alitalia qualsiasi.

Intanto la Lega ha annunciato il deposito di 1500 emendamenti alla proposta di legge sullo ius scholae incassando la replica del segretario del Pd Letta: “Rimango senza parole”, ha detto nell’intervento in direzione Pd, “se si pensa di fare cadere un governo se non si vogliono dare diritti. Sullo Ius scholae non arretriamo di un millimetro.

Il metodo della Lega e di Salvini è incomprensibile: è un tema parlamentare non di governo. Cosa avremmo dovuto fare noi quando cadde il ddl Zan? Non subiremo ricatti sulla testa di queste famiglie, di questi ragazzi”. Il Movimento 5 Stelle parla attraverso Giuseppe Brescia che condivide le perplessità dei democratici: “è surreale chiedere lo stop dello ius scholae dopo aver occupato i lavori della commissione per circa 30 ore.

La verità è che questo testo può essere approvato e la Lega non ha argomenti validi. Il governo ha dato in commissione e darà in aula solo pareri tecnici. Non ha senso metterlo in mezzo”, spiega. Ma questo è solo un piccolo scontro dei moltissimi scontri che Draghi prova a risolvere rimandando.

Del resto Mario Draghi che vorrebbe essere apolitico è lo stesso che alza il telefono per sentire Beppe Grillo, figura non istituzionale di un partito della sua maggioranza. Anche su questo non servono troppi giri di parole: che abbia parlato o meno di Conte un presidente del Consiglio che fa riferimento a figure politiche al di fuori del Parlamento ha già deciso di fare politica. Quale sia la sua politica è sotto gli occhi di tutti: Draghi è il maggior esponente dei liberisti di casa nostra. In incognito, ancora per poco.