di Stefano Sansonetti
Per carità, l’obiettivo sarà anche quello di far vedere all’Unione europea che l’Italia ce la sta mettendo tutta per fare i compiti a casa e tenere i conti in ordine. Ma nel piano di “privatizzazioni” messo a punto dal presidente del consiglio, Enrico Letta, e dal ministro dell’economia, Fabrizio Saccomanni, c’è anche un tentativo rimasto un po’ sotto traccia. Ovvero quello di salvare la pelle alla Cassa Depositi e Prestiti, fornendo alla società un bella stampella. Del resto lo stesso Letta, con un’espressione non proprio da manuale, ha detto che circa la metà dei 10-12 miliardi di incasso atteso sarà utilizzata per “ricapitalizzare la Cassa”. E perché la Cdp, controllata all’80% dal Tesoro e presieduta dall’ex ministro Ds Franco Bassanini, ha bisogno di risorse fresche? Semplice, perché ormai da tempo soffre di uno squilibrio patrimoniale che non sarebbe tollerato per istituzioni finanziarie omologhe. La Cdp, in particolare, dall’ultima semestrale risulta avere un patrimonio netto di 17,5 miliardi di euro a fronte di partecipazioni pari a 33 miliardi. Un rapporto insostenibile, che è stato anche censurato dalla Banca d’Italia in un’ispezione risalente a poco più di un anno fa, passata praticamente sotto silenzio (vedi La Notizia del 2 ottobre scorso).
La vicenda
Del resto basta guardare il menu delle dismissioni approntate da Saccomanni per capire i contorni della questione. Delle otto società messe in vendita ben quattro sono attualmente in pancia alla Cassa. Si tratta di Sace, Fincantieri (controllata tramite Fintecna), Cdp Reti (che controlla il 30% di Snam) e il gasdotto Tag (controllato dalla Cassa tramite Cdp Gas). In realtà ci sarebbe anche l’Eni, controllata dal Tesoro al 4,34% e dalla Cdp al 25,76%, di cui il governo vuole cedere il 3%. Ma in questo caso l’esecutivo attiverà un’operazione di buyback (riacquisto di azioni proprie da parte dell’Eni) che rende la questione un po’ complicata. Ciò che preme più che altro rilevare, invece, è che le partecipazioni in Sace e Fincantieri (per il tramite di Fintecna), sono state acquistate dalla Cassa Depositi (con la Simest) poco più di un anno fa allo scopo di aiutare lo Stato con il classico stratagemma in cui la mano destra dà alla mano sinistra. Lo Stato ha incassato da quell’operazione poco meno di 10 miliardi di euro pagati sempre da una società pubblica, appunto Cdp, che è fuori dal perimetro del debito. Un escamotage contabile, esauritosi il quale adesso quelle stesse partecipazioni, almeno in parte, vengono messe sul mercato. Non proprio un modo di procedere lineare. Ma che ora serve maledettamente per consentire alla Cassa, guidata dal bazoliano amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, di rafforzare il patrimonio e alleggerire le partecipazioni. Un modo per mettere una pezza a uno sbilanciamento di non poco conto.
Gli sbocchi
Del resto il problema non è un segreto per gli addetti ai lavori. Tra i primi a segnalarlo è stato Angelo De Mattia, già segretario particolare del direttorio della Banca d’Italia all’epoca di Antonio Fazio governatore. Raggiunto da La Notizia, a proposito delle conseguenze del piano di dismissioni annunciato da Letta, De Mattia spiega: “Da una parte c’è il versante Ue, con un’operazione che vuole dare una dimostrazione della volontà dell’Italia di ridurre il debito, in particolare per avere lo sblocco della clausola di flessibilità per gli investimenti”. Ma dall’altra “c’è la destinazione di parte degli introiti alla Cassa Depositi, che in base all’art. 107 del Tub è un intermediario finanziario non bancario”. Una qualifica che per De Mattia “è inadeguata perché l’operatività della Cdp è più vicina e coincidente con quella di un istituto bancario”. La questione, prosegue l’ex funzionario di palazzo Koch, “fu all’epoca fatta presente con una lettera di Bankitalia al ministero dell’economia”. Ma anche a volersi limitare a una configurazione della Cdp come intermediario finanziario non bancario, aggiunge De Mattia, “ugualmente in riferimento ad alcuni ratios patrimoniali il rapporto tra partecipazioni e patrimonio della Cassa non è equilibrato”. Ecco perché adesso le privatizzazioni di Letta e Saccomanni potrebbero essere un modo per cominciare a risolvere il problema. Certo, conclude l’ex collaboratore di Fazio, “non so se adesso si cedono queste partecipazioni per farne comprare altre alla Cdp”. Bisognerà attendere le prossime mosse del governo. Ma l’impressione è che con questo piano l’esecutivo abbia voluto provare a togliere le castagne dal fuoco a una società che rischiava di diventare un gigante dai piedi di argilla.