Conflitto di interessi, Di Maio garantisce per Conte. Il premier riferirà in Aula, FdI protesta ma sui silenzi di Salvini non disse nulla

Chissà che qualcuno non si aspettasse un regolamento di conti durante il question time di ieri. Già perché solo in questo modo sembra possibile capire i musi lunghi di chi si aspettava in aula il premier Giuseppe Conte mentre, per riferire durante il question time, si è ritrovato davanti il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un affronto perché all’ordine del giorno, come richiesto con un’interrogazione parlamentare da Fratelli d’Italia, c’era anche e soprattutto l’inchiesta del Vaticano che, secondo il Financial Times, rischia di coinvolgere il capo del Governo italiano per un presunto “conflitto di interessi”.

Così qualcuno l’ha sparata grossa dicendo che Conte intende scappare dalle proprie responsabilità. Sarebbe tutto giusto se non fosse che il premier ha già detto che riferirà in parlamento e che tutto ciò è stato ribadito ieri da Di Maio secondo cui “il presidente del Consiglio sarà ben lieto di venire a rispondere in Aula”. Insomma nessuna fuga dalla discussione a differenza di quanto accadeva, tra l’altro in più occasioni, con l’ex vicepremier Matteo Salvini che è sempre stato allergico a questo genere di appuntamenti istituzionali. Così dovrebbe sorprendere il fatto che all’epoca quasi nessuno si era indignato delle ripetute assenze del leghista, nonostante il bon ton istituzionale lo prevedesse visto che ricopriva anche il ruolo di ministro dell’Interno, su tematiche scottanti che, a vario titolo e spesso solo di striscio, sembravano coinvolgerlo.

Un silenzio assordante che, tra le altre cose, il Capitano non ha mai voluto spezzare tanto che, a distanza di mesi dalla deflagrazione dell’inchiesta sul Russiagate, non ha mai preso la parola in Aula. Anzi, ironia della sorte ha preferito che a difenderlo, durante un’interrogazione parlamentare, fosse proprio Conte. Lo stesso contro cui quotidianamente lancia invettive feroci e che, non ultimo all’indomani del question time, lo aveva portato ad affermare: “Un presidente del Consiglio che rappresenta tutti i lavoratori e tutti gli imprenditori italiani dovrebbe sentire lui l’esigenza di correre in Parlamento e dire no, il Financial Times mente, non ho fatto l’avvocato di me stesso, ma sono l’avvocato di tutti. Sono ormai tante le ombre – servizi segreti, Russiagate, adesso i rapporti con il Vaticano, alcune consulenze, le parcelle comuni con altri avvocati -, non si può andare avanti così”.

Eppure la realtà è ben diversa e l’ha ribadita lo stesso Di Maio in Aula, letteralmente frantumando ogni presunta ombra. La vicenda è quella del presunto conflitto di interessi connesso ad un incarico professionale, proposto da Raffaele Mincione, assunto dal presidente del Consiglio dei ministri prima di accettare l’incarico di governo. Una questione che, diventato premier, gli si ripresentava davanti e questo avrebbe fatto sorgere i sospetti al quotidiano britannico. Ma il leader grillino ha spiegato ieri la situazione raccontando che: “Il presidente del Consiglio, al fine di evitare ogni forma di conflitto di interessi, anche indiretto, si è astenuto da qualsiasi attività riguardante il procedimento di esercizio della golden power (quello di cui si era occupato in qualità di avvocato civilista, ndr)” inclusa “la seduta del Consiglio dei ministri del 7 giugno 2018 nel corso della quale fu esaminata la questione”.

“L’intera seduta del Cdm fu presieduta dall’allora vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, Matteo Salvini” precisa Di Maio. Ci sarebbe da sorridere perché all’epoca, proprio su questi fatti, il leader leghista non era stato duro come in questi giorni. Come se non bastasse, a demolire ogni ipotesi accusatoria, Di Maio ha chiosato: “La correttezza di Conte è stata certificata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha ritenuto di non dover avviare alcun procedimento”.