Cosa nostra sfida lo Stato. Riina vuole uccidere il pm

di Monica Tagliapietra

Totò Riina vuole la morte del pm Nino Di Matteo, il magistrato in prima linea nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Un dubbio atroce quello che negli ultimi giorni sta assillando le forze dell’ordine e la politica, sorto dopo un presunto colloquio tra il capo dei capi di Cosa Nostra e un altro detenuto, all’interno del carcere milanese di Opera, captato da un agente della polizia penitenziaria. Il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica già si è riunito e in Procura a Palermo si è svolto un vertice. Se confermato, l’ordine lanciato dal boss ai suoi uomini rinsalda l’ipotesi che qualcosa di inconfessabile potrebbe essere avvenuto tra mafiosi e uomini delle istituzioni per far cessare la stagione stragista avviata nel ’92-’93 dai corleonesi e, vistosi forse scaricato, u’ curtu potrebbe aver deciso di reagire al suo modo: pallottole e tritolo.

Messaggio di morte
La sentenza di condanna per il pubblico ministero sarebbe stata emessa da Riina dopo l’ultima udienza del processo sulla trattativa. A scatenare l’ira del boss sarebbero state le dichiarazioni di un suo ex fedelissimo, il pentito Francesco Onorato: “I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l’hanno mollato”. Il capo dei capi, arrestato a Palermo nel 1993 e da tempo al 41 bis, sarebbe esploso. “Quelli lì, fosse l’ultima cosa che faccio, devono morire”, avrebbe detto riferendosi a Di Matteo e in seconda battuta ai magistrati palermitani Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, oltre che al procuratore generale Roberto Scarpinato. Lunedì scorso si è riunito d’urgenza il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, vagliando l’opportunità di dotare la scorta del pm di un jammer, il dispositivo antibomba che neutralizza i radiocomandi. Altro vertice si è poi svolto in Procura, dove il procuratore Francesco Messineo non ha fatto mistero della sua preoccupazione: “Questa minaccia sembra una chiamata alle armi che Riina fa al popolo di Cosa Nostra contro i magistrati, che rappresentano l’accusa nel processo sulla trattativa”.

Tante le toghe eliminate dal boss
Del resto non è la prima volta che il capo dei capi minaccia i magistrati dal carcere. Lo aveva già fatto dieci anni fa, mentre era in corso il processo per l’omicidio del giudice Scopelliti, attaccando il procuratore Giancarlo Caselli. U’ curtu è però soprattutto uno che i magistrati che creavano problemi a lui o ai suoi uomini li ha realmente fatti uccidere senza pietà. Il boss è stato condannato per l’omicidio del giudice Cesare Terranova, assassinato nel 1979, uomo dello Stato che aveva condannato il maestro di Riina, Luciano Liggio. Altri ergastoli sono poi stati collezionati dal capo dei capi per gli omicidi, nel 1983, di Giangiacomo Ciaccio Montalto, che si era a lungo occupato della mafia trapanese, e di Rocco Chinnici, che aveva messo la firma sul maxi-processo di Palermo. Condanne infine per gli omicidi del magistrato in pensione Alberto Giacomelli, nel 1988, che aveva fatto sequestrare i beni a Gaetano Riina, fratello del boss, e per quello del giudice Antonio Scopelliti, nel 1991, impegnato nei ricorsi sul maxi-processo. Ora a far muovere nuovamente Totò la belva sembra sia il processo sulla trattativa.