Così la Meloni ha costruito il suo successo sui Social

Parla l'esperto, Domenico Giordano: "Occhio, però: il web è sempre una bolla".

Così la Meloni ha costruito il suo successo sui Social

Il titolo del suo ultimo saggio (pubblicato da Graus Editore) è piuttosto eloquente. Giorgia Meloni è La regina della rete. Non a caso, spiega l’autore Domenico Giordano, i social hanno inciso “in modo determinante” nella sua vittoria alle ultime elezioni politiche.

L’analisi che fa Giordano scava a fondo nella comunicazione politica ed offre una lettura per nulla scontata. Parliamo d’altronde di uno dei maggiori esperti del settore e delle analisi degli insight dei social e della rete. “In particolare – spiega ancora l’amministratore e spin doctor di Arcadia – se pensiamo all’ampiezza del consenso potremmo dire che il presidio delle piattaforme ha contribuito ad allargare i totali della aritmetica elettorale. Non solo perché nelle ultime settimane questo presidio ha portato in dote alla Meloni e, di conseguenza a Fratelli d’Italia che ha beneficiato dell’effetto trascinamento, una amplificazione dell’audience digitale”.

E anche per cosa?
I social decisamente molto più dei media tradizionali hanno anche supportato negli ultimi tre anni la credibilità della narrazione di una leader “ordinaria”, che prima di essere a capo di un partito era una mamma, una figlia, una sorella. Questa dimensione popolare ha ottenuto un duplice effetto: da un lato ha messo in secondo piano quella politica rendendo la leadership meloniana meno divisiva, dall’ altro ha neutralizzato anche le strumentalizzazioni dei competitor.

È su questo aspetto che bisogna leggere il ribaltamento dei rapporti di forza tra Meloni e Salvini?
I dati della rete e delle piattaforme sono degli indicatori preziosi, se poi li inseriamo nel giusto contesto interpretativo e cronologico diventano rivelatori, anzi, possono essere predittivi di quanto poi si concretizza nella quotidianità onlife.

In che senso?
Mi spiego meglio. Gli insight ottenuti da Giorgia Meloni e, parallelamente quelli del leader leghista Matteo Salvini, hanno incassato dei picchi superiori o inferiori alla media in coincidenza di determinati passaggi politici.

Cioè quando?
È successo dopo le due crisi che hanno coinvolto i governi guidati da Giuseppe Conte, agosto 2019 e gennaio 2021, o dopo la rielezione del presidente Sergio Mattarella. Sono delle fratture percettive che hanno fatto guadagnare o perdere ai leader coinvolti quote di attenzione digitale. È questa la sfida ultima, la conquista del mercato dell’attenzione digitale, sempre più rarefatta, sulla quale i politici testano la loro leadership.

Cosa ha sbagliato Salvini nella perdita di consensi (e di follower) e quali sono stati i punti di forza della Meloni?
A mio avviso, il limite più evidente nella comunicazione politica di Salvini è che molto spesso è partito dal dato, dall’interazione, per scegliere un posizionamento politico. Una strategia che nel breve periodo ha portato risultato corposi, ma che nel lungo periodo ha minato la reputazione politica di quel leader. Il dato anticipava la politica, il profitto dell’algoritmo legittimava quello politico e non viceversa. Al contrario, invece, il percorso della Meloni è stato in molte circostanze l’opposto. Il dato delle piattaforme era solo una conferma che premiava o censurava una precisa scelta politica e questo tipo di atteggiamento è stato letto dai follower come il segnale inequivocabile di coerenza personale e politica.

Se dovesse fare una classifica dei politici che meglio di altri sanno usare bene i social dal punto di vista della comunicazione politica, quale sarebbe?
Il criterio che solitamente utilizzo in questi casi, per mantenere un’oggettività nella valutazione, è quello di un calendario di pubblicazioni che risulti per i follower il giusto mix, fatto di equilibrio e coerenza, tra contenuti politici, pop e hype. Se teniamo ferma questa cornice di riferimento, allora la mia classifica vede al primo posto Giorgia Meloni, poi sul podio accanto a lei metto Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Subito dopo, invece, limitandoci ai primi cinque, di certo meritano un posto Matteo Salvini e Carlo Calenda.

C’è qualche outsider da cui dobbiamo aspettarci sorprese, magari qualche politico meno noto ma che si sta “costruendo” col giusto utilizzo dei social?
Ci sono tanti sindaci che utilizzano i canali social non solo per rendere conto della loro azione amministrativa ma per costruire una relazione di comunità e se posso fare due nomi segnalo, in Emilia, Isabella Conti sindaco di San Lazzaro di Savena e, in Campania, Giosy Della Ragione, primo cittadino di Bacoli. Mentre, tra i parlamentari, vale la pena di seguire Vittoria Baldino del M5S e Domenico Furgiuele della Lega.

C’è la possibilità che oggi ci sia un’equiparazione tra consensi e follower?
I follower in ogni caso votano anche per familiarità digitale, ma il rischio non è proprio questo, ma un altro già sottolineato da diversi scienziati sociali. Derrick De Kerckhove ha scritto qualche giorno dopo il voto politico di settembre che le democrazie corrono il rischio di una dittatura morbida dell’algoritmo. Le mini tribù cognitive che popolano le camere dell’eco, coagulate artificiosamente dall’aggregato algoritmico, possono influenzare il processo di formazione del consenso perché non creano coesione sociale, ma al contrario, riducono l’importanza del linguaggio, il tempo per la riflessione e l’autonomia delle decisioni.

Prima Renzi, poi Salvini, ora Meloni. Tutti hanno vissuto prima un boom sui social ma poi – per i primi due – un graduale declino. La domanda è d’obbligo: i social sono una bolla che si gonfia e poi esplode?
Una domanda che mi è stata fatta spesso di recente. La bolla dei social è destinata comunque a sgonfiarsi per chiunque, perché i follower sono per loro natura bulimici e hanno bisogno di contenuti sì ripetitivi ma anche nuovi. Un segreto per resistere al logoramento non è quello di mettere il piatto in tavola a tutte le ore, anzi i leader politici, in particolare quelli sovraesposti nel ruolo istituzionale, devono essere parsimoniosi, dovrebbero centellinare tempi e occasioni del dialogo con la comunità digitale e non commettere l’errore di voler per forza esserci.

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