Il crac della Banca Popolare di Vicenza presenta il conto al dominus dell’istituto, Gianni Zonin, e agli altri manager coinvolti nel disastro finanziario che ha messo in ginocchio migliaia di risparmiatori, non solo in Veneto. Ieri il pubblico ministero di Vicenza, Luigi Salvadori, ha chiesto la condanna a 10 anni di reclusione per l’ex presidente della Popolare, ricordando che il tracollo dell’istituto di credito ha provocato l’azzeramento dei titoli in mano a quasi 120mila risparmiatori. Quanto agli altri imputati, le richieste sono state di 8 anni e 6 mesi per gli ex vide dg Emanuele Giustini e Paolo Marin, di 8 anni e 2 mesi per l’ex consigliere Gianmarco Zigliotto, e 8 anni per l’ex vice dg Andrea Piazzetta.
Il procedimento riguarda i reati di aggiotaggio, ostacolo all’autorità di vigilanza e falso in prospetto. Tutti comportamenti che hanno impedito agli investitori, molto spesso clienti della stessa banca convinti a diventare soci dell’istituto in cambio dell’apertura di linee di credito (le cosiddette operazioni baciate). Secondo i legali della difesa la sentenza potrebbe arrivare a inizio del nuovo anno.
Un’attesa priva di grandi speranze per Zonin, vero padre-padrone della Popolare, che si era presentato al processo promettendo di fugare le ombre sulla condotta dell’istituto, risultando a questo punto sostanzialmente smentito. I risparmiatori della banche venete (l’altra è Veneto Banca), poi acquisite al valore simbolico di un euro da Banca Intesa Sanpaolo e così salvate dal default, sono stati ad oggi in parte risarciti dallo Stato, che ha finanziato un apposito fondo (Fir), esteso anche agli altri istituti finiti sempre negli anni scorsi in risoluzione.