di Stefano Sansonetti Più dell’ormai famoso disegno di legge sulle unioni civili conta l’incerto destino di Banca Carige. A quanto pare in questi giorni i rapporti tra il Governo guidato da Matteo Renzi e il Vaticano non sono proprio idilliaci. Ma mentre l’attenzione generale è concentrata sulla discussa proposta di legge caldeggiata dal Pd, e fortemente osteggiata da lunghe file di parlamentari cattolici, c’è una questione “bancaria” di non poco conto a far crescere gli attriti tra le parti. Parliamo di Banca Carige, l’istituto di credito genovese che dopo l’era del padre padrone Giovanni Berneschi sta faticosamente cercando di risalire la china. Diciamo subito che Carige è una banca che sta molto a cuore alla gerarchie vaticane. In primis ad Angelo Bagnasco, che non solo è presidente dei vescovi della Cei ma è anche arcivescovo di Genova. Non c’è vicenda nella vita della banca in cui Bagnasco non sia intervenuto per dire la sua. I PRECEDENTI Nell’ottobre del 2013, quando si stava consumando uno scontro durissimo tra i consiglieri della Fondazione Carige (all’epoca azionista di peso), disse che “per quanto riguarda la situazione della banca e della fondazione la preoccupazione è abbastanza generalizzata e si deve fare un grande auspicio: che questi gioielli di famiglia rimangano in casa”. Nell’ottobre del 2014, con Carige già nella bufera, Bagnasco ribadì: “Spero che fondazione Carige non riduca la partecipazione nella banca, spero che questa possibilità sia superata da una fantasia virtuosa e concreta. Se non accadesse, Genova sarebbe impoverita”. Ma il feeling tra Vaticano e Carige è anche più antico e vanta radici economiche. Del resto arcivescovo di Genova è stato anche l’ex segretario di stato Tarcisio Bertone. E proprio la gestione dei rapporti tra Carige e Ior sarebbe stato uno dei motivi di attrito tra lo stesso Bertone ed Ettore Gotti Tedeschi, l’ex presidente della banca vaticana poi defenestrato nel 2012. Si dà il caso che lo Ior nel 2012 avesse investito addirittura 100 milioni di euro in obbligazioni convertibili nella banca genovese. Il disegno, a quanto pare, era quello di far entrare la banca vaticana in Carige con una partecipazione di peso. Ma il progetto sfumò e le obbligazioni vennero rivendute. Per non parlare degli attuali azionisti di Carige, a cominciare dal primo, Vittorio Malacalza, forte del 17,5%. Quando Bertone cercò di aumentare la presa sull’allora disastrato San Raffaele di Milano, utilizzando ancora lo Ior, chiamò nel Cda dell’ospedale proprio Malacalza, considerato vicino all’ex segretario di Stato. Dopodiché il caso ha voluto che Malacalza, nel frattempo uscito dal San Raffaele, arrivasse come cavaliere bianco per salvare la stessa Carige. Acconto a lui, con il 5% della banca, c’è ancora oggi l’altro “salvatore”, l’imprenditore della logistica petrolifera Gabriele Volpi, che detiene la partecipazione in Carige attraverso una società panamense (Compania Financiera Lonestar), controllata da un trust caraibico (The Summer Trust) amministrato da una fiduciaria delle Bahamas (Delanson Services Ptc Limited). GLI ULTIMI RISULTATI Le ultime vicende di Carige, però, non hanno allontanato le preoccupazioni, anzi. L’aumento di capitale da 850 milioni è stato in gran parte bruciato. Nell’ultimo mese di Borsa la banca ha perso il 28,17%, che sale al 47,8% se calcolato negli ultimi sei mesi. I nuovi vertici dell’istituto si sforzano di ripetere che i fondamentali della società sono solidi e che gli ultimi tonfi a piazza Affari (ieri -7,29%) sono oggetto di speculazione. Ma la situazione rimane preoccupante, con una banca che potrebbe essere rilevata a prezzi di saldo da qualche investitore estero. Insomma, ci sono larghe fette delle gerarchie vaticane che vorrebbero una maggiore attenzione da parte del Governo su questa vicenda. Il che significa che siamo di fronte all’ennesima patata bollente nelle mani dell’Esecutivo, dopo la questione Etruria & Co. Twitter: @SSansonetti
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