Dal Patto di stabilità ai migranti, Meloni scappa dalle domande

Meloni in fuga dalla realtà: il disperato tentativo della presidente del Consiglio per nascondere i suoi disastri.

Dal Patto di stabilità ai migranti, Meloni scappa dalle domande

Ancora un rinvio. Il “persistere dell’indisposizione” – questa la motivazione ufficiale – della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha portato alla decisione di rimandare la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Si doveva tenere oggi, ma lo stato influenzale che ha portato ad annullare l’incontro del 21 dicembre sembra non voler proprio finire mai per Meloni. Così la conferenza stampa oggi non ci sarà: doveva essere il secondo appuntamento di fine anno con i giornalisti. La conferenza si terrà il 4 gennaio, dopo il rinvio a causa di una sindrome otolitica di Meloni, che ora è in fase di ripresa.

Ma stavolta, al contrario di quanto successo un anno fa, Meloni doveva parlare solo di se stessa e dell’operato del suo governo in questi 365 giorni. Nessuna scusante legata al fatto di essere appena arrivata a Palazzo Chigi come l’anno scorso.

Intanto, però, le domande dei 45 cronisti in lista per la conferenza stampa organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dall’Associazione Stampa Parlamentare non ci saranno neanche stavolta. Eppure ci si aspettava una presidente del Consiglio pronta a raccontare un miracolo italiano che non esiste, un governo con un ruolo centrale in Ue nonostante sia sempre più spesso ignorato e isolato, un lavoro efficace del suo esecutivo su diversi temi cari all’elettorato di destra, a partire dai migranti, su cui invece ha portato a casa quasi solamente fallimenti. La conferenza stampa che sarà è facile da immaginare, con tante frase già ripetute più e più volte. Ma, per il momento, l’unica cosa che si può fare – tra un rinvio e l’altro – è immaginare cosa i giornalisti avrebbero voluto chiedere alla presidente del Consiglio e cosa lei avrebbe omesso.

La manovra Meloni

Nessun dubbio: di manovra se ne sarebbe dovuto parlare, nei giorni in cui arriverà l’approvazione definitiva alla Camera. Doveva essere una legge di Bilancio da tempi record, soprattutto a causa del veto imposto da Meloni alla sua stessa maggioranza: nessun emendamento. La discussione, in effetti, non c’è stata. Ma il governo è riuscito comunque a perdere quasi due mesi dando davvero il via al dibattito solamente a metà dicembre. Da record c’è solo la lentezza e la completa assenza di discussione. Nulla è andato come voleva Meloni, che è dovuta anche tornare indietro su misure come il taglio della pensione dei medici. La presidente rivendica il taglio del cuneo fiscale, ma non dice che è solo una conferma e che nulla cambierà in busta paga da gennaio per gli italiani. Di altro c’è ben poco, considerando che parliamo di una manovra da vera austerità.

Il No al Mes della maggioranza guidata da Meloni

La giustificazione sul Mes è sempre la stessa: la colpa non è del suo governo che non ha ratificato la riforma, ma del governo Conte che ha “ha dato l’assenso alla chetichella”. Ovviamente l’Italia il Mes non l’ha ratificato allora e, per decisione della maggioranza, non l’ha fatto neanche ora, con il voto contrario in Parlamento. Inevitabile l’isolamento in Ue, considerando quante volte sia stato chiesto – anche con impazienza e un mai celato fastidio – in sede di Eurogruppo di approvare la riforma per farla entrare in vigore per gli altri Paesi. Il governo Meloni ha ignorato questi appelli e le conseguenze in Ue sono inevitabili: gli avvertimenti sono già arrivati, ma è ovvio che oggi l’Italia è molto più isolata a Bruxelles di quanto non lo fosse soltanto pochi giorni fa.

Il Pacco di stabilità

Ve le ricordate le minacce di Meloni di mettere il veto in Ue alla riforma del Patto di stabilità? Sparite, ovviamente. E non perché abbia ottenuto ciò che voleva, ma semplicemente perché ha deciso di piegarsi senza ottenere nulla in cambio. Per poi dire No al Mes per ripicca. Meloni definisce quello sul Patto di stabilità un “compromesso di buon senso”, ma in realtà l’Italia non ha ottenuto niente, non approfittando neanche del possibile asse con la Francia sul tema. La decisione l’hanno presa Berlino e Parigi, senza coinvolgere Roma. Altro che centralità in Europa. E così l’Italia si è dovuta piegare, ma questo la presidente del Consiglio non lo dirà.

Superbonus

Per Giorgia Meloni il Superbonus è stato “un regalo ai truffatori”. Le motivazioni a cui ricorre la presidente del Consiglio le conosciamo già: è costato tantissimo, lo hanno sfruttato solo in pochi e per rinnovare una parte minima del patrimonio immobiliare italiano. Poi c’è tutto ciò che Meloni non dice sul Superbonus: dall’impatto sul settore edilizio che ha portato l’Italia a una crescita record al fatto che una proroga, indipendentemente da come la si pensi, è di fatto inevitabile per salvare imprese e famiglie. Lo sa, d’altronde, anche Forza Italia che chiede con forza di intervenire sul tema. Venendo ignorata dal resto della maggioranza, che pur di non tirare fuori un euro per una misura su cui non può mettere la bandierina è disposta a tutto.

Ciao poveri

Di Reddito di cittadinanza, Meloni ne parla sempre meno. Del lavoro sporco ne occupa la ministra del Lavoro, Marina Calderone, che continua a difendere la cancellazione della misura e la sostituzione con l’Assegno di inclusione. La presidente del Consiglio rivendica solo di aver fatto quanto annunciato, ma non parla mai del fallimento del post-Reddito: né dei cosiddetti occupabili che non trovano corsi di formazione e non ricevono, da mesi, il pagamento dei 350 euro, né della stretta certificata dalla Banca d’Italia che porterà 900mila famiglie e rimanere senza sussidi con il passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione. E anche stavolta, ne siamo certi, tutto questo non verrà detto da Meloni.

Extraprofitti gratis

Un altro argomento scomparso dai radar e su cui Meloni spera nell’oblio è la tassa sugli extraprofitti delle banche. Doveva portare due miliardi nelle casse dello Stato, andando a chiedere un piccolo sacrificio agli istituti bancari che, nell’epoca dei tassi da record, hanno registrato profitti eccezionali. Alla fine la retromarcia del governo ha consentito alle banche di scegliere cosa fare: pagare la tassa o accantonare le risorse destinandole a riserve proprie non distribuibili. E ovviamente tutti gli istituti hanno scelto di mettere da parte quella cifra, dedicandola al rafforzamento del patrimonio. Così lo Stato non ha incassato nulla.

Il Pnrr tagliato di cui Meloni non parla

Se c’è poi un punto su cui Meloni omette qualche dettaglio è il Pnrr. La richiesta inoltrata alla Commissione europea per il pagamento della quinta rata è stata annunciata da Palazzo Chigi con toni trionfalistici: l’Italia è il “primo Paese a richiedere il pagamento della quarta e quinta rata”, ripetono gli esponenti del governo. Dimenticando sempre che, però, la quinta rata è stata ridimensionata con la revisione del Piano: gli obiettivi da raggiungere sono scesi da 69 a 52, ma a diminuire è anche il peso della rata. L’importo è passato dai 18 miliardi inizialmente previsti a 10,5 miliardi. Primi a chiederli, sì, ma omettendo il taglio delle risorse.

Con Meloni boom di sbarchi

Un altro tema scomparso dai radar è quello dei migranti. Non un caso, in effetti, perché la strategia del governo si è rivelata fallimentare rispetto alle promesse roboanti della destra che, una volta arrivata a Palazzo Chigi, avrebbe ridotto gli sbarchi. È andata esattamente all’opposto e così, anche se quasi nessuno ne chiede conto all’esecutivo, Meloni e i suoi alleati continuano a evitare l’argomento. D’altronde parlano i dati: nel 2023 gli sbarchi sono aumentati rispetti agli anni precedenti. I dati ufficiali, rilasciati dal Viminale, sono inequivocabili: si è passati dai 66.482 sbarchi del 2021, ai 102.530 del 2022 per arrivare ai 154.526 registrati nel 2023 fino al 27 dicembre. D’altronde anche nei giorni di Natale, nonostante condizioni di mare difficili, gli sbarchi non si arrestano. E non ci sono dubbi: se l’obiettivo del governo, più volte dichiarato, era quello di ridurre gli sbarchi, li fallimento di Meloni è certo. E forse anche di questo vorrà evitare di parlare la presidente del Consiglio.

Rama ringrazia

Per Meloni l’accordo siglato per portare in Albania i richiedenti asilo verrà preso a modello da tutta l’Ue. Un vero e proprio successo, almeno così diceva fino a pochi giorni fa. Poi, però, le cose sono cambiate e forse ora per il governo è meglio non citare l’intesa con il premier di Tirana, Edi Rama: solo un paio di settimana fa, infatti, la Corte costituzionale albanese ha deciso di sospendere le procedure per l’approvazione dell’accordo dopo i ricorsi presentati da alcuni deputati del Paese. La ratifica parlamentare è stata quindi sospesa in attesa di una sentenza della Corte. E sull’accordo erano già stati espressi forti dubbi anche dal Consiglio d’Europa. Altro che modello da seguire.

E non è finita

La lista dei fallimenti del governo Meloni che la presidente del Consiglio non vuole affrontare, evitando la conferenza stampa o, quando ci sarà, fornendo risposte evasive, è ancora lunga. Ve la ricordate l’Italia come locomotiva d’Europa e Paese con una delle crescite più robuste in Ue? Tutto sparito, tanto che ora Roma cresce meno di quasi tutti i partner europei e nel 2024, secondo le previsioni, il Pil sarà tra i peggiori in assoluto, probabilmente il penultimo nell’eurozona. E, ancora, ci sono le tanto propagandate misure riguardanti il carrello tricolore e il prezzo della benzina: il primo si è rivelato un fallimento, con il prezzo di prodotti alimentari e bevande che da ottobre è l’unico a salire, nonostante un’inflazione in netto calo; tanto che lo stesso governo ha deciso di cancellarlo a fine dicembre. Per il secondo il governo rivendica di aver fatto scendere i prezzi della benzina grazie all’obbligo di esporre il cartello dei costi: peccato che da quando è entrato in vigore non abbia avuto alcun effetto sui prezzi, che sono scesi solo grazie al netto ridimensionamento delle quotazioni internazionali del petrolio. Non si parlerà di giustizia, tanto più dopo il bavaglio contestato anche dalla Fnsi e nessuna discussione sulla riforma costituzionale che le destre vogliono mettere in campo per introdurre il premierato, a scapito di un ruolo ridimensionato – ma che la maggioranza non ammette – per il presidente della Repubblica. Neanche a dirlo, meglio non parlare per Meloni del salario minimo, sempre più necessario di fronte a stipendi fermi da ormai più di 30 anni in Italia.