Dalla caverna all’era dei selfie. L’evoluzione dell’Homo Sapiens secondo Brignano. Nella civiltà degli smartphone col rimpianto di Tarzan

In principio era un branco di scimpanzé che vivevano sugli alberi. Si cibavano di bacche, insetti, frutti, germogli, ramoscelli. Finché uno dei primati, rivolgendosi ai compagni, elabora un pensiero, meritandosi sul campo la medaglia di sapiens: “Madonna, rega’, che magnata, sti tronchi se so’ messi de traverso, che c’avessimo un digestivo, un alka seltzer, un amaro del capo?”. A quel punto scende nella savana, in mancanza di un bel centerbe primordiale si fa quattro passi e digerisce, poi torna alla base dell’albero di partenza e, da gorillone romano, si rifiuta di tornare in cima. Tutti allora lo seguono, si cambia domus, dagli alti cespugli alle caverne, dove la scimmiona femmina comincia a catechizzare il marito: e c’hai troppi peli, e quando ti fai la doccia “s’attappa er sifone”, e questa grotta non è un albergo… E così via, evoluzion facendo.

SUL PALCO. Il passaggio dal Neolitico ai primi Flinstones, fino all’opulento 2020, ha un grande originale narratore, macché Piero Angela, Enrico Brignano che, nel nuovo tour del suo ultimo show Un’ora sola vi vorrei… (al Brancaccio di Roma fino al 22 marzo), affronta a modo suo le tappe della civiltà, il riscatto più o meno lineare dell’uomo dalle oscurità ferine fino alla tv e alle patologie da selfie, per arrivare a una tragicomica e travolgente conclusione: il tempo scorre, passa, fugit, ruit hora, come dicevano i latini ma, sostanzialmente, è come se si accavallasse, si attorcigliasse, facendo brusche frenate, rapide virate, per ritrovare vecchi malcostumi ed eterne debolezze pure in mezzo ai ritrovati più rutilanti del benessere.

Palco cangiante e pirotecnico per l’occhio, che alterna avanspettacolo, monologhi da front man, classico varietà con coreografie e stacchetti musicali, qualche tocco surreale tipico dell’umorismo del comico romano, ma che soprattutto esalta l’ilarità del pubblico con un non-sense che sa di profonda autocoscienza di ognuno con se stesso, con l’amico o la moglie o il fidanzato vicino di poltrona: non ci siamo migliorati nella Storia, siamo i soliti bipedi fessi e infedeli, bisognosi e illusi, litigiosi e innamorati di sempre.

MEZZA VITTORIA. Dai rapidi corteggiamenti vicino a Piazza di Spagna alle passioni risorgimentali, dai rimedi per sfangare un buon voto a scuola ai centri estetici-lager che seviziano le donne sull’altare della dea Ceretta, fino ai telefonini e ai social, dire “relatività” è centrare il target giusto: il Progresso è stato una mezza vittoria. L’esilarante storia del pelo ne è una magnifica dimostrazione. L’Homo Erectus diventerà pure glabro e tonico, ma il povero “zio Terzino” ancora muore soffocato negli anni ’50 di fronte a una consorte che, fra ascelle e pube, rinverdisce i fasti della jungla di Tarzan…