Deficit al 2,4%, Di Maio in pressing sul Mef per la manovra. Non basta il Reddito di cittadinanza, dentro pure la Fornero. Asse Lega-5Stelle per sfondare il tetto del 2%

Arriverà in Parlamento il 10 ottobre, ma il round decisivo sul Documento di economia e finanza si giocherà oggi in Consiglio dei ministri. Con i vice premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini che continuano a giocare di sponda per mettere sotto pressione il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Con l’obiettivo di convincerlo ad allentare la cinghia dei vincoli di bilancio e spingere il rapporto deficit-Pil al 2,4 per cento per varare la Manovra del popolo, come l’ha definita il capo politico dei Cinque Stelle, senza annacquare le misure promesse in campagna elettorale a cominciare dal reddito di cittadinanza.

Una richiesta che i due azionisti della maggioranza gialloverde sarebbero intenzionati a formalizzare proprio nel Consiglio dei ministri di oggi, sfidando in un definitivo redde rationem il vincolo dell’1,6 per cento sul quale lo stesso Tria si è impegnato a rispettare con l’Unione europea. Un gioco al rialzo, quello del tandem Di Maio-Salvini, per forzare la trattativa delle cifre e chiudere, magari, a metà strada. Non a caso ieri, nei corridoi di Palazzo Chigi, si rincorrevano voci su due possibili alternative alle quali starebbe lavorando il premier in persona, Giuseppe Conte, per trovare la quadra. Prima ipotesi: deficit all’1,9 per cento, recuperando uno zero virgola in più successivamente nella manovra. Seconda ipotesi: sforare il tetto del 2 per cento destinando, però, una parte consistente del nuovo deficit agli investimenti. “Ci sono tutte le potenzialità per crescere, dobbiamo solo intervenire per liberare le risorse economiche per un piano infrastrutturale serio”, ha detto ieri Conte alla Cnbc, lasciando presagire che la seconda ipotesi possa essere, alla fine, quella che resterà sul tavolo. Quanto alle cifre, il premier si è tenuto cauto: “Non do numeri sino a quando non delibereremo. Lo saprete dopo il Consiglio dei ministri”. Ma che sia una vigilia carica di tensioni, lo dimostrano le manovre, con relativa ridda di indiscrezioni, riunioni e vertici andate in scena a Roma. Dove i Cinque Stelle non solo non mollano la presa sul ministero dell’Economia ma alzano addirittura la posta. Non più solo il reddito di cittadinanza, nella Manovra ora pretendono che ci siano anche le pensioni di cittadinanza e il superamento della Legge Fornero.

Punto, quest’ultimo, su cui Tria starebbe concentrando le resistenze maggiori. Era stato, del resto, proprio il ministro dell’Economia in mattinata, davanti alla platea di Confcommercio, ad assicurare che il reddito di cittadinanza sarà in Mnovra. Ma inviando ai due vicepremier un messaggio chiaro. “Ho giurato nell’interesse esclusivo della Nazione non di altri”. Un modo per frenare gli appetiti di quanti tra i Cinque Stelle vorrebbero una Manovra con dentro tutto. Per dare un segnale chiaro sul fatto che questo sia davvero il Governo del cambiamento. E al riguardo la guerra delle cifre non è irrilevante. Già dai numeri, in quel gap che balla tra l’1,6% di Tria e il 2,4% di Di Maio, gli italiani capiranno, del resto, di che pasta è fatta la Manovra. Lo sa bene Di Maio che non arretra di un centimetro. Tranquillizza “madri e padri divorziati, professionisti che non arrivano a fine mese, pensionati che vanno a mangiare alla Caritas”. E attacca i “tecnocrati” che mettono “i bastoni tra le ruote” per arrestare il cambiamento. La linea del Piave è tracciata.