Devono scortare Orfini. Ma il Pd di Marino e Zingaretti non molla. Paura per il commissario del partito. Sciogliere gli enti però resta un tabù

Delle due, l’una: o la denuncia dell’ex ministro e dirigente Pd Fabrizio Barca è vera, e dunque nel Partito democratico romano c’è del marcio a non finire, con la conseguente esatta decisione di mettere sotto scorta persino il presidente e commissario del Partito stesso nella Capitale, Matteo Orfini, oppure ha ragione tutta la cagnara che si sta levando per derubricare la denuncia di Barca (decine di sezioni del Pd romano sono inquinate) a una vendetta tra correnti, un siluro lanciato dal vecchio Pd per mettere in difficoltà il nuovo. E dunque sbagliano pure Viminale e Prefettura a mettere Orfini sotto tutela. Se la mafia a Roma non c’entra nulla, non sarà certo la critica politica tra correnti a far rischiare la vita al presidente Dem. Le critiche politiche mica sparano come i clan del malaffare che dettavano legge in Campidoglio o come la dettano tutt’ora su gran parte del litorale di Ostia.
Sarebbe bello vedere se al posto di Orfini ci fosse Giuliano Ferrara, il più risoluto nel sostenere che l’inchiesta Mafia Capitale è roba da mariuoli; malaffare sì, corruzione, certo, ma che non si usi l’idea dell’associazione criminale e mafiosa. Se non c’è la coppola e la lupara mafia non è. Nzzz!

LE PROVE
Senza tifare per la Procura o per Ferrara (e il movimento pseudogarantista che sta spericolatamente provando ad andargli dietro) noi restiamo alla sola osservazione dei fatti. In attesa del processo, che vedrà partire una prima tranche già a novembre, i protagonisti dell’inchiesta restano in carcere per decisione di tutti i giudici da cui è passato il caso. Dal Gip che ha autorizzato l’arresto al Riesame, gli elementi di reato per adesso sono riscontrati. Abbiamo poi una serie di intercettazioni telefoniche e di filmati di personaggi ritenuti stimabilissimi fino al giorno dell’inchiesta ripresi mentre si spartiscono mazzette. Signori come Luca Odevaine che al momento dell’arresto contavano briciole rispetto ai tempi d’oro, quando dalla segreteria del sindaco (era il vice capo di gabinetto di Walter Veltroni) passavano tutti gli interessi della città e dei costruttori che all’epoca vivevano una stagione d’oro. Questi signori stanno sulla cresta dell’onda da decenni. Salvatore Buzzi non è spuntato ieri, anche se fino all’arresto nemmeno i bene informati sapevano chi fosse. Il grande capo delle coop dell’accoglienza oliava e oliava gli ingranaggi delle amministrazioni romane di ogni colore.

LA REGIONE? NON SI TOCCA
Oggi stanno tutti a parlare del Comune, perché è agli atti il controllo esercitato da Buzzi su consiglieri comunali, consiglieri di municipi, funzionari della pubblica amministrazione, colletti bianchi, persino giornali e – cosa ancora più inquietante – sulla criminalità che aveva nell’ex Nar Massimo Carminati il suo mammasantissima. Ma non appare assordante il silenzio sulla Regione di Nicola Zingaretti? Come se i circoli inquinati del Pd si fossero dati tanto da fare per infiltrare il Campidoglio e poi se ne siano stati buoni quando c’era da votare per la Regione. Per non parlare della Provincia di Roma, ormai diluita nella città metropolitana. Eppure il coinvolgimento di consiglieri regionali, di funzionari di primissimo piano come Maurizio Venafro è alla luce del sole. Per la Sinistra romana, quella che si è illusa della propria superiorità morale garantita dai Berlinguer, il colpo è duro. Naturale che i veterocomunisti ora puntino il dito contro i veterodemocristiani, accusandoli di aver corrotto l’eredità di quel Pci. Ma da dove venga il disastro ormai poco importa. Purché si cominci a ripulire. E non sarà certo facendo finta di niente, minimizzando le inchieste o autoassolvendosi affibbiando tutte le responsabilità ai fascisti da far tornare nelle fogne che Roma cambierà pagina.