Dietro la propaganda niente: benvenuti nella Giorgiacrazia

A Pescara va in scena la Giorgiacrazia: un monologo di mezze verità e numeri a caso, ecco cosa non torna sui successi vantati dalla premier.

Dietro la propaganda niente: benvenuti nella Giorgiacrazia

Benvenuti nella Giorgiacrazia, dove anche il cognome è un inutile orpello per la capa che vuole essere lo Stato. Sono passate 48 ore da quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato la candidatura per le prossime elezioni europee, in scia con l’ipocrisia molto italiana di candidarsi a ruoli che non si ha intenzione di ricoprire per sfruttare il proprio nome come logo. Meloni l’ha voluto fare a Pescara, tra i fedelissimi riuniti in un bagno rigenerante di tifosi travestito da conferenza programmatica.

Meloni mal sopporta i giornalisti, sta scomoda nelle istituzioni italiane e europee ma ama farsi applaudire dalla sua borgata itinerante. A Pescara di fronte ai fedelissimi si è lanciata in un monologo (arte prediletta) in cui ha potuto liberamente trasformare il Pnrr, l’economia e l’immigrazione in mangime elettorale. “Alle europee del 2019 noi abbiamo messo insieme il 6,5 per cento dei consensi. Era la prima volta che ottenevamo un risultato che ci metteva, come dire, al riparo da qualsiasi soglia di sbarramento”, ha declamato la leader di Fratelli d’Italia, convinta che il trucco retorico dell’underdog possa funzionare addirittura seduta a Palazzo Chigi.

Rivendere le prossime elezioni per Bruxelles come l’occasione per essere una novità è un gioco un po’ stantio. Fratelli d’Italia è nato come partito nel 2012, 12 anni fa, entrando nel Parlamento europeo già nel 2019. Ma immaginare ogni volta un nuovo tetto di cristallo è la narrazione che preferisce. Poi inizia l’elenco dei successi, non del tutto veri. “Il debito sta tornando nelle mani degli italiani grazie al successo dei Btp Valore”, ha detto Meloni, intestandosi la discesa del debito pubblico italiano grazie all’emissione dei titoli di Stato. Pagella Politica fa due conti: secondo i dati più aggiornati della Banca d’Italia, a gennaio 2024 il debito pubblico italiano valeva circa 2.849 miliardi di euro: quasi il 28 per cento era detenuto dai cosiddetti “non residenti”. Come suggerisce il nome, rientrano in questa categoria i singoli investitori e gli istituti finanziari che non sono residenti in Italia. Da quando si è insediato il governo Meloni, questa percentuale è rimasta di fatto stabile. A novembre 2022 il 27 per cento del debito pubblico era detenuto infatti da “non residenti”. La stessa percentuale è stata registrata a giugno 2023.

La Giorgiacrazia fra palco e realtà

Poi ci sono le abituali bugie sull’occupazione che per la presidente del Consiglio avrebbe “toccato il record” grazie a “un’inversione di tendenza”. Peccato che la tendenza sia sempre la stessa (in crescita) dal 2021 (era il governo Draghi) e l’Italia resta sempre all’ultimo posto dell’Unione europea. Non poteva mancare la retorica sull’immigrazione: “grazie all’accordo tra Unione europea e Tunisia le partenze sulle rotte del Mediterraneo centrale sono diminuite del 60 per cento”, dice Meloni. Il 2023 è stato il secondo anno con più sbarchi dal 2016 eppure per Meloni il calo (che non è del 60% ma solo del 12%) sarebbe merito dei suoi accordi con Kaïs Saïed.

Meloni dice che “il traffico degli esseri umani vale più della droga” ma nessuno sa dove lo abbia letto: escondo le stime più aggiornate delle Nazioni Unite, nel mondo il profitto del traffico di migranti arriva fino ai 7 miliardi di dollari, mentre quello degli esseri umani fino a 32 miliardi. Il traffico di droga vale di più, superando i 300 miliardi di dollari. Numeri a caso con il Pnrr con la presidente del Consiglio che esulta perché l’Italia “è la nazione più avanti per rate erogate” omettendo che molti altri Paesi non hanno concordato l’erogazione di fondi in dieci rate come noi. Un misto di mezze verità e di propaganda retequattrista, con il nome Giorgia da scrivere sulla scheda per illudersi di darle del tu.

È una Meloni che assomiglia ogni giorno di più alla politica “stile Mediaset” del “se ce l’ho fatta io ce la farete anche voi”, tutta tesa a identificare le sorti del Paese con gli umori di una persona. Lì Silvio rivendicava i successi imprenditoriali, qui è il sogno americano in salsa borgatara. Così Meloni può permettersi di irridere anche il suo alleato Matteo Salvini che vorrebbe il ponte ma non riesce a stare a galla nemmeno nel suo partito. In casa Lega la candidatura del generale Roberto Vannacci sta serrando le fila degli ostili al ministro e rischia di essere un acceleratore della caduta facilmente prevedibile. Salvini sa bene che Vannacci ha già iniziato a correre in solitaria, prendendo le distanze dalla Lega e quindi anche dalle sorti del suo segretario. L’unica possibilità di salvare la sua leadership per Salvini è un miracolo elettorale che non accadrà. La campagna elettorale per le europee ha l’aria di essere una lunga agonia. E così tra una Meloni in delirio di onnipotenza e un Salvini che tenta la xenofobia come colpo di coda basta che il presidente di Forza Italia Antonio Tajani rimanga zitto e in disparte per farlo sembrare il nuovo Churchill.