Dietro Tajani un governo a tre teste: ogni sua parola svela le divisioni

Tajani rivendica una linea chiara, ma ogni sua parola svela le divisioni profonde nella maggioranza Meloni.

Dietro Tajani un governo a tre teste: ogni sua parola svela le divisioni

Antonio Tajani ha parlato a lungo all’Università Cattolica di Milano, in un incontro pubblico con la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. Un’occasione istituzionale, dedicata al ruolo dell’Europa e al futuro dell’Italia, che il ministro degli Esteri ha sfruttato per ribadire la sua visione strategica sui principali dossier internazionali. “Non possiamo dirci ottimisti, ma siamo determinati a cercare la pace”, ha detto a proposito del conflitto in Medio Oriente. Ha rivendicato l’azione umanitaria italiana a Gaza, che a suo dire “nessun altro governo europeo ha eguagliato”. Ha chiesto un equilibrio di forze, una difesa europea, relazioni leali con gli Stati Uniti, e ha espresso riserve sull’uso del Golden Power contro UniCredit per le sue attività in Russia. Tajani ha illustrato una visione complessa e articolata della politica estera italiana. Ma il problema è che sembra essere solo la sua.

Le parole del ministro degli Esteri però non trovano eco compatta all’interno della maggioranza. Al contrario, ogni sua presa di posizione evidenzia divergenze strutturali tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, una coalizione unita solo in apparenza. Le contraddizioni non sono sfumature: sono fratture, politiche e strategiche.

Il Medio Oriente come specchio delle contraddizioni

Sul conflitto a Gaza, Tajani insiste su una linea umanitaria, parla di riconoscimento da parte dell’Autorità palestinese e difende la diplomazia. Ignazio La Russa (FdI) lo smentisce nei fatti, riportando tutto alla “radice del conflitto” che sarebbe nel 7 ottobre e nel disegno “iraniano” di cancellare Israele. Maurizio Gasparri (FI), pur dello stesso partito di Tajani, aggiusta il tiro: Hamas è il nemico, Israele va difeso, ma qualche critica è ammessa. Guido Crosetto, ministro della Difesa, arriva più lontano: dice che Israele “sta sbagliando” e che la sua reazione è “drammatica e inaccettabile”. Matteo Salvini, invece, non ha dubbi: Netanyahu è il leader democratico, Hamas è il nemico, e tutto il resto è relativismo pericoloso. Giorgia Meloni, nel mezzo, balbetta tra silenzi strategici e dichiarazioni tardive.

Chi rappresenta, dunque, l’Italia? Tajani, che si vanta del primato umanitario italiano? Crosetto, che condanna? La Russa, che giustifica? Salvini, che applaude? Meloni, che media?

Difesa europea, tra visioni opposte

Anche sulla difesa comune le parole di Tajani mostrano la distanza tra visioni inconciliabili. Il ministro chiede un rafforzamento del “pilastro europeo” nella Nato, parla di egoismo nazionale da superare, rivendica un’identità europea da rendere autonoma e dignitosa. Crosetto risponde: “L’esercito europeo è una stupidaggine”. Salvini si oppone a qualsiasi ipotesi che rafforzi la Germania o limiti la sovranità nazionale. E Fratelli d’Italia oscilla: sovranità europea sì, ma purché resti subordinata alla Nato. Tajani chiede cooperazione, la maggioranza combatte per il primato interno.

Dazi e Golden Power: l’Europa secondo chi?

Sul piano commerciale, Tajani mostra un approccio moderato e multilaterale: nessuna guerra dei dazi, accordo con gli Stati Uniti, difesa dell’UE come spazio di opportunità. Salvini, al contrario, elogia Trump, spinge per accordi bilaterali e attacca Bruxelles per la sua inefficienza. Anche su UniCredit e la presenza economica italiana in Russia, Tajani lancia un monito: “Servono regole, ma lo Stato non deve giocare la partita”. Si dice preoccupato per le imprese italiane. Una posizione che entra in rotta di collisione con chi, nella maggioranza, invoca l’intervento deciso dello Stato a tutela della “sovranità economica”.

Tajani come specchio della crisi politica

Il discorso di oggi non è un’uscita isolata: è un catalogo ordinato delle incoerenze di un governo che si muove con tre teste e nessuna direzione. Tajani rappresenta la faccia “internazionale” di un esecutivo che all’estero vuole rassicurare, mentre all’interno è in continua campagna elettorale. Le sue dichiarazioni, per quanto razionali e coerenti, fotografano una distanza profonda tra i ministeri e tra i partiti. Il ministro degli Esteri non parla con la voce del governo, ma con quella che dovrebbe rassicurare Bruxelles, Berlino e Washington mentre Salvini e La Russa parlano a Mosca e Tel Aviv.

Giorgia Meloni, impegnata a costruirsi una reputazione da statista europea, si serve di Tajani come garante della presentabilità internazionale, ma lo lascia solo ogni volta che le sue parole si scontrano con la linea politica reale della coalizione. In un governo fondato sul compromesso quotidiano e sull’ambiguità strategica, Tajani sembra colpevole di avere una linea chiara. Ma la politica estera non è fatta di monologhi. L’Italia oggi non ha una politica estera: ha Tajani. E Tajani ha una maggioranza che gli rema contro.