“Discriminatorio”. Così il giudice del Lavoro, Franca Molinari del tribunale di Busto Arsizio ha definito la circolare della Rai del 5 maggio scorso AD/2025/0002400/P/C che invitava dipendenti e collaboratori, promotori dei referendum o candidati alle elezioni amministrative, a mettersi in ferie o in aspettativa fino alla chiusura dei seggi.
Fuori dalla Rai fino a fine votazioni
Con quella circolare, l’azienda aveva infatti invitato tutti i lavoratori dipendenti, a prescindere dalla tipologia contrattuale o dal tipo di attività che abbiano accettato candidature elettorali di “(..) darne comunicazione all’Azienda il giorno stesso e sono invitati, nell’ottica di prevenire possibili conflitti di interesse, a fruire di ferie (ovvero di recuperi, “PR”, “PF” o “PX”), ovvero a chiedere di essere collocati in aspettativa non retribuita, con decorrenza immediata e fino al giorno della chiusura dei seggi, comprese le operazioni per l’eventuale ballottaggio relativo alle elezioni comunali”.
I collaboratori con contratto di lavoro autonomo, inclusi i collaboratori coordinati e continuativi, inoltre, “sono invitati a chiedere la sospensione temporanea del rapporto, sempre per l’intero arco temporale sopra evidenziato, in coerenza con le previsioni dei contratti individuali di lavoro”.
Ma la giudice dice “no”
“Le direttive europee definiscono la discriminazione diretta come quella situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base a un determinato fattore, di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga – ha scritto il giudice – non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto il profilo delle condizioni di lavoro, il provvedimento nelle parti in contestazione penalizza e quindi discrimina coloro che in forza della libertà di pensiero e associazione esprimono nel loro privato extra lavorativo una legittima opinione o ne condividono il valore o anche solo aderiscono idealmente ad enti o organismi referendari o politici, rispetto agli altri lavoratori e collaboratori, che non esprimono opinioni o non agiscono attivamente nel loro privato extra lavorativo”.
Penalizzato chi fa attività politica
Per il tribunale “viene così posta in essere una discriminazione diretta di tipo collettivo che oggettivamente penalizza i lavoratori e i collaboratori della Rai s.p.a., indipendentemente dalle mansioni e dal ruolo svolto all’interno dell’azienda, che nella loro sfera extra lavorativa partecipano alla vita politica del paese, esprimendo il loro pensiero e una forma di dissuasione dei lavoratori dal partecipare – anche solo come semplici membri – in enti che esprimono, al di fuori del contesto lavorativo del servizio pubblico erogato, una legittima posizione politica”.
E conclude: “L’esigenza di garantire la neutralità del servizio pubblico non giustifica la discriminazione in oggetto che, per l’appunto, colpisce il lavoratore e il collaboratore a causa delle sue legittime opinioni personali nel momento in cui queste non si esprimono in azioni concrete, dirette o indirette nel servizio pubblico”.
TeleMeloni si difende: “Fatto così anche in passato”
“Tali norme – aveva spiegato in una nota la Rai nei giorni scorsi – nate per tutelare l’imparzialità e l’obiettività del servizio pubblico, erano già contenute nelle circolari del 2018, 2020 e 2022 su consultazioni elettorali e referendum. Il tutto a tutela della terzietà dell’azienda, nell’obiettivo di evitare che i dipendenti/collaboratori possano influenzare in qualunque modo, anche in forma surrettizia, le libere scelte degli elettori”. Il ricorso ex art. 28 del d.lgs. n. 150/2011 e il ricorso ex art. 669 quater c.p.c. con istanza inaudita altera parte erano stati proposti dall’Associazione Nazionale Lotta alle Discriminazioni.