Dopo Sgarbi si accoda Calenda. Costretti a insultare per esistere. Propalatori seriali di turpiloqui e fake news. Su giornali e tv spopolano, purché le sparino grosse

Dopo Sgarbi si accoda Calenda. Costretti a insultare per esistere. Propalatori seriali di turpiloqui e fake news. Su giornali e tv spopolano, purché le sparino grosse

Mentre ci avviciniamo al primo Natale “limitato” delle nostre vite senza guerre, mentre il mondo intero sogna di risvegliarsi in un’alba di libertà e spera nel vaccino come arma dell’umanità contro la forza di un nemico invisibile e spietato, in Italia c’è chi non perde occasione per dimostrare di essere piccolo e fuori luogo, benché – grazie alla complicità del più incredibile sistema mediatico del globo – visibile. Vittorio Sgarbi – il condannato per truffa ai danni dello Stato, il performer capace di defecare in diretta, di negare l’esistenza del Covid e urlare “Troia!” in Parlamento mentre una sgomenta Mara Carfagna presiedeva la seduta – addita sprezzante Virginia Raggi urlando (è più forte di lui!) che faceva la cameriera.

Questo signore che in qualunque altro paese industrializzato sarebbe bandito da qualsivoglia spazio pubblico da decenni, nell’Italia della stampa impura continua a godere di visibilità e a dire le sue oscenità classiste, volgari, insensate e becere, solleticando i peggiori istinti della peggiore parte del peggior pubblico dei suoi pietosi spettacolini. E ad affiancarlo non poteva mancare un’altra pallida figurina mediatica, il signor Carlo Calenda da Corso Trieste. Perfetto per impersonare il più classico dei “fidipà” nel bel romanzo La compagnia dei celestini di Stefano Benni, Calenda è uno degli imbarazzanti misteri – nei fatti poco misteriosi! – dello sclerotico mondo dei media italiani.

Legato a Montezemolo si candida con Monti e viene trombato nel 2013, dunque (per premio? Per sfregio agli elettori?) nominato viceministro, poi Rappresentante permanente presso la Ue (scelta che fa giustamente imbestialire i diplomatici!), poi dopo due mesi ministro (è la meritocrazia, no?), poi rimane a piedi dopo le elezioni del 2018, dunque si candida (stavolta col Pd) e viene eletto in Europa, e da quella poltrona prima lascia il Pd per formare un partitino suo, poi si autocandida a sindaco di Roma, alla faccia di chi lo ha votato per stare a Bruxelles. In tutto ciò, le Tv e i giornali italiani gli danno lo spazio e l’ossequiosità che non spetterebbero nemmeno al leader di un partito col 40% (Azione ha più o meno il 2%).

Fra i sorrisini e i tappeti rossi dei conduttori di talkshow (e dei giornali che sempre più a quelli somigliano), Calenda pontifica h24 di qualunque cosa accada sotto al cielo, sottointendendo sempre e solo una certezza: io so’ io, e voi non siete un cazzo. Solo che non siamo in un film con Alberto Sordi, siamo in Italia e nel pieno di una pandemia. Dunque quando Calenda dall’alto di non si sa quale ruolo autoassegnatosi spara che va fatto un governo con la Lega e mandato a casa Conte, i conduttori anziché ridergli in faccia e dire “ma chi sei tu, Mattarella?” annuiscono accondiscendenti

Lo stesso quando Calenda si autocandida a sindaco di Roma, scatenando – anziché l’ilarità generale – la corsa ad ospitarlo e a trattarlo come il De Gaulle – meno magro e meno alto – che probabilmente crede d’essere. Naturalmente il Grande Statista di mamma e papà non perde occasione per insultare i lavoratori (definire “Scappati di casa” i navigator, tutti laureati e vincitori di concorso pubblico, una delle sue tante perle) svelando un classismo degno del più becero fascistello da prima liceo, e sempre con qualche taccuino o telecamera amica a riprenderlo.

Come tutti i figli di buona famiglia italiana che hanno avuto tutto senza dover troppo faticare, convinto da sé stesso di essere indispensabile al paese, Calenda ieri ha insultato ancora una volta Luigi Di Maio definendolo “venditore di bibite”. È una porcheria doppia: primo perché vendere bibite è un mestiere dignitoso e come tale da rispettare. Secondo perché Luigi Di Maio non ha mai venduto bibite! Questa verità storica sfugge ai cronisti e titolisti nostrani, e la fakenews di “Giggino il bibitaro” è diventata ormai un ghiotto luogo comune per attaccare un ministro che si sbatte come pochi e che recentemente coordinanosi con i servizi ha condotto in salvo i nostri pescatori mazaresi.

E ieri ha riportato in Italia Chico Forti. In qualunque paese del mondo, qualunque giornalista con un minimo di coscienza professionale direbbe una volta per tutte che Di Maio non ha mai venduto bibite, e che attaccarlo accusandolo di aver svolto lavori umili – come tantissimi di noi hanno fatto – è una porcheria al quadrato: perché infame e classista e offensiva per tanti lavoratori, e poi perché falsa. Ma siamo in Italia, l’unico paese evoluto in cui è possibile che una bugia classista e penosa “diventi verità” e venga usata contro un politico per delegittimarlo in modo bieco. Speriamo di poter passare in piena libertà il prossimo Natale: senza più Covid, senza più mascherine e senza più personaggi imbarazzanti come Sgarbi e Calenda che offendono l’Italia definendo “cameriera” Virginia Raggi e “bibitaro” Luigi Di Maio con la compiacenza di intervistatori persino più imbarazzanti di loro. Ma contro queste vergogne lo troveremo mai un vaccino?
(L’autore dell’articolo è Europarlamentare M5S)