Supermario fa come Conte. Ma con mille morti al giorno il dittatore era Giuseppi. Con la pandemia ancora fuori controllo l’ex premier venne crocifisso per le misure restrittive adottate

Il premier Mario Draghi ci riprova e vuole prorogare lo stato d’emergenza per la pandemia, in scadenza il 31 luglio, fino a fine anno.

Supermario fa come Conte. Ma con mille morti al giorno il dittatore era Giuseppi. Con la pandemia ancora fuori controllo l’ex premier venne crocifisso per le misure restrittive adottate

Mario Draghi ci riprova e vuole avere lo “stato d’emergenza” per la pandemia fino a fine anno. Una misura legittima, per carità, che in un Paese in pandemia non si nega a nessuno, quando mai. Però qualche considerazione questo fatto la merita. Lo stato di emergenza varato dall’attuale esecutivo scade il 31 luglio e Draghi, inizialmente, sembrava proprio non volerlo rinnovare per dare l’idea alla popolazione di un ritorno alla normalità, quanto mai auspicato.

Però da qualche giorno è cominciata a girare – vedi Il Messaggero – l’indiscrezione che Draghi ci ha ripensato e che per garantire al meglio il piano vaccinale, affidato al commissario Francesco Paolo Figliuolo, non sarebbe poi male visto che AstraZeneca sta provocando tanti problemi e che alcune decisioni in merito sono state commentate in maniera – come dire – quantomeno ilare dai media e dalla pubblica opinione. Come fare infatti a proteggersi dagli sberleffi nati dal continuo cambio di idee sulla pericolosità del vaccino stesso in diverse fasce d’età? E poi c’è la questione politica di fondo e cioè dare un’idea che dopo il vaccino c’è la libera uscita, che tutto è tornato indietro, ai tempi pre-pandemia.

In effetti, forse il segregare a casa la popolazione – per quanto utile – non è una mossa vincente con le elezioni che si avvicinano e la gente, ancora sostanzialmente perplessa da certo terrorismo cromatico, sbircia con apprensione le cartine dell’Italia con le regioni temendo che la sua si colori. Una cosa che non t’aspetti da un esponente del fronte rigorista sono invece le parole pronunciate dal ministro della Salute, Roberto Speranza: “Sarebbe bello chiudere con lo stato di emergenza, dare un segnale positivo al Paese. Se così fosse, però, dovremmo individuare una strada normativa per prolungare l’attività del Comitato tecnico-scientifico e della struttura del commissario Figliuolo”.

Naturalmente sorvoliamo sulla incapacità dialettica di utilizzare in un contesto virale l’aggettivo “positivo”, ma resta il fatto che Speranza ha tirato un colpaccio gobbo a qualcuno, come sempre accade quando si cambia idea repentinamente, visto che comunque era il ministro a cui è rimasto il cerino in mano nelle prime fasi della pandemia. E sorvoliamo sui pasticci fatti col il piano pandemico non aggiornato e sui rapporti ambigui con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, guidata dall’incapace Tedros Adhanom Ghebreyesus, sotto accusa al tribunale dell’Aia per genocidio. E poi non si capisce bene perché con i numeri così bassi sul virus e con tanta copertura vaccinale ora Draghi vorrebbe prolungare lo stato di emergenza mentre a Conte con numeri di contagi enormi e senza vaccini, nella seconda ondata, si fecero tante difficoltà.

Conte fu vittima di attacchi concentrici e generalizzati da parte della faciloneria della destra aperturista che rappresenta gli interessi di bottegai ed affini. Resta il fatto che all’ex premier non è stato fatto nessuno sconto: tutto quello che chiede Draghi lo ottiene incartato e infiocchettato, mentre quello che chiedeva Conte era subito bollato come un tentativo di imporre una “dittatura sanitaria”, come tuonavano alcuni giornali di centrodestra soffiando sulla pericolosa brace del malcontento sociale durante i lockdown. Il pericolo di tale situazione che degenerò negli scontri di Torino, Milan, Roma e Napoli, fu segnalato dagli stessi Servizi in una relazione al Parlamento che inquietò non poco il governo.

Abbiamo rischiato, soprattutto durante la presidenza Usa di Trump, che l’onda lunga degli sciamani arrivasse anche da noi, alimentata proprio dal comportamento inaffidabile della destra salviniana e anche da Giorgia Meloni che mai prese nettamente le distanze da quello che, in definitiva, era il suo elettorato di riferimento. Ora è del tutto evidente il diverso trattamento che è stato riservato a Conte e quello che invece è servito su un piatto d’argento al suono di vellutati cembali a Draghi, solo per il suo curriculum di economista che, detto per inciso, non è affatto una garanzia per la politica.

Cosa accadrà ora? Draghi è inesperto di politica, ma è furbo e capirà probabilmente che il vantaggio che riceverebbe dal prolungamento dello stato di emergenza non lo ripagherebbe della delusione provocata nella popolazione alla continua ricerca di quella normalità che tutti inseguiamo da quel maledetto marzo del 2010, quando comparve in Italia il virus cinese.

Dall’archivio: Conte: “Alcune decisioni ci hanno disorientato, ma sosteniamo il Governo. Con la nuova leadership il M5S tornerà a far sentire la sua voce in modo chiaro”.