“Draghi irresponsabile. Non c’era una base per la crisi”

Parla il politologo Marco Revelli: "Evidentemente non ne poteva più di questo tipo di maggioranza e, forse, anche un po’ del Paese”.

Il premier Mario Draghi, dopo che il M5S non ha votato al Senato la fiducia al decreto Aiuti, ha deciso di dimettersi. Professor Marco Revelli, storico e politologo tra i più accreditati in Italia, come valuta questa scelta?
“Draghi si prende tutta la responsabilità della cosa, evidentemente è da un po’ che lavorava a una soluzione del genere”.

Vuol dire che era nell’aria?
“No, no. Forse era nella sua testa. Non c’era nessuna base per una crisi di Governo dal punto di vista costituzionale. È una valutazione politica che è stata presa dal presidente del Consiglio. Il quale evidentemente non ne poteva più di questo tipo di maggioranza e, forse, anche un po’ del Paese”.

Le pare una scelta responsabile?
“Non mi sembra molto responsabile, ma da un po’ di tempo gli atti di Draghi non mi sembrano molto responsabili”.

C’è chi invoca il Draghi bis. Quale sarebbe, secondo lei, lo scenario auspicabile?
“Mi è difficile dire quale sarebbe lo scenario auspicabile al punto in cui siamo, perché ci troviamo a un punto molto oscuro della nostra storia politica. Ci siamo infilati in una guerra maledetta che costa tantissimo in termini di vittime sul terreno e in termini socio-economici all’Europa. L’ultima fase della pandemia è stata gestita male e ne vediamo le conseguenze con le impennate dei contagi e anche dei morti e una sensazione da parte del Pese di essere stati abbandonati. Siamo alla vigilia di un autunno socialmente improbo perché le condizioni di parti consistenti di popolazione sono estreme in termini di disagio, di malessere, di difficoltà economica e di povertà. Fino a quando la pazienza potrà durare? A ciò si aggiunga un’altra cosa”.

Quale?
“C’è la sensazione che la questione sociale nella testa di Draghi sia agli ultimi posti non certo ai primi. Quindi è difficile dire cosa si potrebbe auspicare. Indubbiamente credo che ci sarebbero tutte le condizioni costituzionali per un ritorno di fronte alle Camere del presidente del Consiglio, per una verifica della propria maggioranza e un voto di fiducia non con contenuti specifici ma con contenuti programmatici che indichino la natura del Governo, che potrebbe, in ultima analisi, anche riscuotere la fiducia del M5S se posta nei termini giusti da parte del presidente del Consiglio. Lo ripeto: secondo me il cerino è nelle sue mani. È lui che deve scegliere se scottarsi o se soffiarci sopra e spegnerlo con un atto di disponibilità e anche in qualche misura di umiltà. Perché Draghi dovrebbe anche essere un po’ più umile”.

Il Pd ha più volte fatto capire al M5S che se rompeva col Governo Draghi ne andava dell’alleanza con i dem.
“Diciamo che fa parte del gioco politico in cui ogni partito lancia gli avvertimenti che ritiene politicamente più idonei per ottenere quello che si propone. Quello però che mi risulta difficile capire è cosa si proponga il Partito democratico. Devo dire che personalmente mi turba il silenzio del Pd sulla questione sociale. Ci si sarebbe aspettato che alcuni dei punti del memorandum che Giuseppe Conte ha presentato a Draghi li avesse presentati un partito che ha un passato di sinistra, che ha nel suo dna un riferimento agli strati popolari. Evidentemente tutto questo appartiene al passato. E questo vuoto di sensibilità sociale in questo momento, sul quale gioca il M5S che a sua volta non ha nel suo dna una grande sensibilità sociale però ha in qualche modo un’attenzione alla dimensione popolare o populista, complica la situazione”.

L’Istat e l’Inps hanno certificato che in Italia esiste un’enorme questione salariale: quattro milioni di lavoratori guadagnano meno di mille euro al mese. A fine 2021 risultavano 5,6 milioni di poveri assoluti.
“È una situazione drammatica. Sia la nota dell’Istat sulla povertà con un numero enorme di poveri assoluti e di working poor sia la documentazione dell’Inps sullo stato dei salari dovrebbero essere campanelli d’allarme che dovrebbero far drizzare tutte le antenne a chi ha responsabilità politiche di Governo e invece no. L’impressione è che tutta l’attenzione sia concentrata sul consesso internazionale, su quello che ci chiedono gli alleati anche se quello che ci chiedono è molto pesante e lo stiamo pagando durissimamente. Il malessere è forte”.

Ritiene che le ragioni che hanno portato i 5Stelle a non votare il dl Aiuti siano giuste?
“Sono comprensibili e credo che fosse anche prevedibile che si sarebbero comportati in questo modo. Credo che se Draghi avesse voluto evitare questa situazione avrebbe potuto tranquillamente espungere dal decreto Aiuti la questione del termovalorizzatore che è un tema che sta al resto del decreto come i cavoli a merenda. E che quindi si sia cacciato un po’ nei guai da solo da questo punto di vista. Ma la fiducia l’aveva ricevuta seppur col vulnus che un partito importante non abbia partecipato al voto. Dal punto di vista costituzionale il Governo non era in minoranza e dunque non c’erano le condizioni tecniche di una crisi. Il discorso, semmai, era politico e la valutazione politica spettava al presidente del Consiglio che ha scelto di dimettersi e ne porta la responsabilità”.

C’è chi ha sempre sostenuto che il Movimento Cinque Stelle aveva tutto da guadagnare uscendo dal Governo Draghi. Lo crede anche lei?
“Non mi permetterei mai di dire cosa dovrebbe o non dovrebbe fare il Movimento Cinque Stelle che in questa legislatura ha abbandonato un’infinità di bandiere qualificanti. Può darsi che ci sia un limite, una goccia che faccia traboccare il vaso. Non arriva di certo vergine a questa scadenza. O, se si vuole vedere da un altro punto di vista, di sacrifici in nome della governabilità ne ha fatto un’infinità. Ci si può sempre interrogare sulla necessità o meno che ne facessero uno in più dopo quelli già fatti. Ma questo rimanda alle valutazioni interne al Movimento a cui io non appartengo. Mi guardo bene dunque dal dire cosa dovrebbero fare”.