I due dossier resteranno separati, e così si eviterà ogni conflitto d’interesse. Alitalia dove entrano i Benetton sarà una cosa e le Autostrade, dove gli stessi Benetton sono messi alla porta, saranno un’altra. Possiamo crederci? Se le cose andranno effettivamente così – come ha promesso ancora ieri Luigi Di Maio – lo vedremo molto presto, ma certo la strada che si è presa per salvare l’ex compagnia di bandiera è la più accidentata possibile. Purtroppo le Fs non hanno trovato altri partner privati, e imbarcare Lotito o l’ex patron defenestrato di un vettore colombiano significava inseguire un’altra avventura, e Alitalia di avventure ne ha vissute abbastanza.
Anche l’offerta dell’altro concessionario autostradale, Toto, era al limite dell’incredibile, visto il contenzioso che questo gruppo ha proprio con Alitalia sin dai tempi della cessione di AirOne, per non parlare di altri miliardi che ballano con l’Anas. Dunque non c’era alternativa, e di fronte all’esigenza di un Paese a vocazione turistica – sicuramente svantaggiato senza una propria compagnia aerea – e al rischio di lasciare a terra gli undicimila lavoratori di Alitalia, il Cda delle Ferrovie ha scelto i Benetton, con una decisione condivisa dal ministro dello Sviluppo economico.
Un pragmatismo necessario quando si governa, anche se il dolore per le vittime del ponte Morandi non può essere cancellato se non con la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. Un contratto firmato in modo tanto oneroso per lo Stato quanto vantaggioso per il privato, e che contiene obblighi chiarissimi sulla manutenzione e la sicurezza. Per onorare chi perse la vita poco meno di un anno fa a Genova non c’è compromesso quindi, se non risarcire le famiglie e tutti i danni, e poi eventualmente chiudere e rinegoziare le condizioni della concessione con l’Anas o un eventuale privato a cui non consentire più i guadagni spropositati del passato.
Al contrario, il grosso dei pedaggi dovrà finire nelle casse pubbliche, in modo da abbassare le tariffe e mettere altra legna nella cascina di un debito che non è impossibile da ridurre, se solo cominciamo sul serio a smetterla di fare come si è fatto sempre, socializzando le perdite e privatizzando gli utili.