L'Editoriale

C’è un futuro a Cinque Stelle

Rudimenti di base della politica: se vuoi fare il rivoluzionario devi fare la rivoluzione, se no ti sfondano. Se invece vuoi fare il democristiano, devi saperlo fare, se no finisci come sopra. Perciò fare l’uno e l’altro non è possibile, a meno di ingannare gli elettori e presto o tardi pagarne le conseguenze. Certo, se si sta all’opposizione tutto è più facile, e metà Centrodestra può tranquillamente dirci che non vuole l’Euro e l’Europa, mentre l’altra metà è pronta ad accettare il Mes. Per chi volesse approfondire, si mettano a confronto le dichiarazioni in materia rilasciate da Salvini e Giorgetti, o della Meloni e Berlusconi.

Le cose si fanno invece più difficili se si governa, e se certi dubbi vengono dentro la forza politica che esprime il premier. Qui le ambiguità sono fatali. E non c’è errore più grave di non affrontarle o, peggio, sottovalutarle. Chiudere gli occhi, infatti, non fa che allungare l’agonia. Per questo nei 5 Stelle non è più tempo dell’attesa. L’espulsione di altri due parlamentari sta indebolendo la maggioranza che sostiene Conte; le incursioni di Di Battista, sottoscritte da numerosi deputati e senatori, spargono l’idea di un Movimento che pensa alle poltrone; il rinvio senza data degli Stati generali offre il fianco ai servi sciocchi di un sistema che ha spolpato questo Paese e ancora non gli basta, perché c’è da raschiare il fondo. Con i suoi valori di onestà, di sincera solidarietà verso chi ha bisogno, di amore per l’ambiente, di passione civile dei suoi militanti, il Movimento è una forza talmente francescana da aver preso l’abitudine di porgere a ogni schiaffo l’altra guancia. Ma la politica è un’altra cosa.

E anche una cosa triste se per fare scandalo bastano le facili congetture sull’incontro di un imprenditore visionario come Casaleggio Jr. con l’amministratore delegato dell’Eni, società rimasta sull’energia a una visione del Novecento. Casaleggio ha in mano la piattaforma Rousseau, e quindi la garanzia d’indipendenza dei cittadini che partecipano alle decisioni dei 5 Stelle, mentre il manager dell’Eni, Descalzi, era in cerca di una riconferma malgrado il fuoco di sbarramento che il Movimento gli ha fatto fino all’ultimo.

Una resistenza tutt’altro che di facciata, come sa bene chi legge questo e pochi altri giornali, in quanto si tratta di un capo azienda sotto processo per corruzione e con un mucchio di altre grane giudiziarie. Ormai però è la regola accusare i grillini di non fare mai abbastanza argine, mentre del Pd che ha proposto, appoggiato e blindato l’impresentabile Descalzi (e non solo) nessuno parla. Siamo di fronte, dunque, alle regole di fondo del potere, e qui non si scappa. Se si vuole cambiare il Paese ci si deve sporcare le mani, ingoiare bocconi amari per ogni metro strappato ai vecchi partiti e ai loro affari. Se invece può bastare prendere gli applausi abbaiando alla luna, mentre tutto resta come prima, allora è più comodo stare all’opposizione. Guai però a non decidere da che parte mettersi, anche a costo di una possibile scissione nel Movimento.

Un epilogo senz’altro grave, ma meglio una fine orribile che un orrore senza fine. D’altra parte, per chi ama, o semplicemente rispetta, questa incredibile creatura nata dall’intuizione di Grillo e Casaleggio, conta il risultato. Il che vuol dire Conte che gestiste la pandemia anziché Salvini “apri e chiudi” con la consulenza di Confindustria e dei padroni del sistema sanitario lombardo. Significa No Mes piuttosto che cadere nella trappola Ue come vogliono il Pd, Renzi e Berlusconi. Ma significa soprattutto continuare a tagliare sprechi e privilegi per restituirli ai cittadini. La battaglia più difficile in uno Stato in cui persino gli ex deputati se ne inventano una al giorno per salvarsi i vitalizi.