Prima di mettere nero su bianco la sua seconda manovra finanziaria il governo farebbe bene a verificare se ha fatto bene con quella precedente. Proprio ieri l’Istat ci ha detto che il Pil del secondo trimestre è in calo dello 0,4%, a luglio gli occupati sono scesi (-73mila) e l’inflazione nel carrello della spesa resta intorno al 10%. Per circa tre milioni di italiani i dati sono però ben peggiori, perché l’unica fonte di sopravvivenza, o l’integrazione ai guadagni minimi, è sparita col Reddito di cittadinanza.
Insomma, esaurita la spinta economica degli esecutivi precedenti ci troviamo più in difficoltà di quasi un anno fa, quando la Meloni entrò a Palazzo Chigi sull’onda di promesse elettorali irrealizzabili. Logica vorrebbe che sbagliando si impari, ma l’aria che tira sulla manovra in costruzione è insalubre. Facendo tutto il contrario di altri Paesi – come la Germania che punta su welfare, sanità, affitti calmierati e salario minimo – qui si pensa a tagli alla spesa e austerità. Niente di diverso dalle ricette di Monti e Draghi, contro cui Fratelli d’Italia ha sempre fatto opposizione, o ha finto di farla.
Ora si dice che non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta, ed è generoso che M5S e Pd continuino ad offrire consigli per migliorare la manovra, ma alla Meloni piace sbagliare da sola, lasciando a bocca asciutta persino i suoi alleati. Che intanto continuano a prenderci in giro promettendo aumenti alle pensioni con Tajani e di tutto un po’ con Salvini. Balle che tra qualche mese spariranno, per colpa – ci diranno – di qualcun altro. Al solito.