Era il 5 marzo 2013 quando usciva il primo numero di questo giornale. A chi ci chiedeva il motivo di una nuova pubblicazione nel mezzo di una crisi epocale per l’editoria, spiegavamo che si sentiva il bisogno di un giornale autenticamente riformista, capace di rilanciare quelle parole d’ordine con cui Matteo Renzi aveva portato due milioni di italiani a votare ai banchetti del Pd: rottamazione, merito, cambiamento. Passarono i mesi e chi segue La Notizia sa benissimo quanto siamo oggi critici e severi con un premier che non ha mantenuto quelle promesse. Tanto che la sua rottamazione è ormai letta (non solo da noi) come una restaurazione di metodi e scelte democristiane. Per questo la rottamazione del Movimento Cinque Stelle appare oggi come più credibile e genuina. E ha convinto milioni di italiani a voltare le spalle al leader del Governo. Certi segnali però possono essere preziosi se si ha l’umiltà di ragionarci e prendere le dovute contromisure. Renzi valuti quanto gli è stato utile affidare la riforma della Costituzione a un ministro come Maria Elena Boschi. Partiamo da qui.
La Boschi è infatti quel ministro che ha tirato fuori dal cilindro il Senato nominato dalle Regioni (anziché abolirlo del tutto, come avrebbe fatto un vero rottamatore). E andiamo avanti. Valuti Renzi cosa portano riforme tiepide come il Jobs Act, la microscopica riduzione fiscale, l’accettazione supina dei diktat tedeschi ed europei sui conti pubblici, che affamano famiglie e imprese mentre il debito dello Stato addirittura cresce. Valuti cosa gli frutta occupare ogni spazio di potere con i suoi amici e non con le persone più competenti ed efficaci. Valuti a cosa gli servono manager pubblici come l’amministratore delegato dell’Enel, un signore capace di dire in una lezione all’Università che le aziende si cambiano mettendo paura ai collaboratori. Valuti che messaggio dà imporre un direttore generale della Rai che dovrebbero mostrare plasticamente la rottamazione renziana e invece lascia al loro posto persino i personaggi più emblematici della conservazione, come Bruno Vespa (e non solo). I prossimi giorni saranno durissimi nel Pd, con la vecchia guardia che giocherà tutte le ultime carte per riacciuffare quel potere che un giovane amministratore locale da Firenze si è portato via.
RIPRENDERE IL FILO
Se Renzi, al di là del commissariare il partito a destra e manca, dimostrerà di saper riprendere il filo di quel cambiamento promesso agli italiani, può ancora sperare di raddrizzare la rotta. Un segnale chiaro, in tal senso, potrebbe essere l’apertura di una riflessione su una legge elettorale che crea un obbrobrio se messa insieme alla attuale riforma costituzionale. Diversamente l’aria che tira è inequivocabile. E a ottobre il referendum completerà l’opera cominciata dal voto delle amministrative.