Con lo spread a 150 punti e nubi sempre più scure sulla nostra economia, il premier Draghi non ne vuole sapere di fare sul serio per ridurre il caro-bollette. Così ieri è arrivato a spacciare per “intervento di ampia portata” (leggi l’articolo) quel po’ che si è potuto recuperare raschiando qua e là in altri capitoli di spesa – tra i 5 e i 7 miliardi – respingendo al contempo le richieste di un nuovo scostamento di bilancio arrivate da tutti: da Conte a Salvini.
La risposta del governo a fronte degli aumenti nel costo dell’energia, e in generale dell’inflazione, è dunque timidissima, nello stile che fu di Draghi nei primi anni alla Banca centrale europea. E qui serve un piccolo sforzo di memoria, perché tutti ricordano il “whatever il takes” con cui salvò l’euro al culmine della crisi della moneta comune, ma molti meno rammentano come si finì in quella emergenza, anche a causa della lentezza con cui proprio la Bce decise il taglio dei tassi e il sostegno monetario.
E dire che in quello stesso periodo gli Stati Uniti facevano esattamente l’opposto dell’Europa, superando in fretta persino il disastro Lheman Brother. I falchi tedeschi del rigore finanziario ci imposero l’austerity (che a noi portò Monti, ma in Grecia andò pure peggio) e Draghi si adeguò, esattamente come sta facendo adesso per non contrariare i mercati.
La cinghia stretta, che sarà necessaria dopo la pandemia, oggi è micidiale per un Paese che deve rialzarsi, e che domani dovrà pagare un prezzo altissimo se dovessimo mancare la ripresa e pure restituire gli aiuti vanificati dal caro-vita che in questa fase si sta facendo solo finta di voler tamponare.