L'Editoriale

Garantisti a geometria variabile

Garantisti a geometria variabile

Dicono di essere garantisti. Lo ripetono ogni volta che uno dei loro finisce sotto inchiesta, come se bastasse un aggettivo per coprire l’odore della convenienza. Ma il garantismo di governo è un privilegio, non un principio. Lo si applica agli amici, lo si nega ai nemici.

Per Beppe Sala, sindaco di Milano, toni sobri e rispetto istituzionale. Ma bastava ricordare la furia scatenata contro Emiliano in Puglia: lì si parlava di “resa dei conti”, si chiedevano dimissioni prima ancora di un interrogatorio, e si convocava l’antimafia come tribunale politico. Garantismo a geometria variabile, a seconda della casacca.

Alla Camera, Giovanni Donzelli ha usato atti riservati per accusare il Pd di connivenze con ambienti malavitosi. Disse: “Sta con lo Stato o con i mafiosi?” Nessuno lo fermò. Nessuna sanzione. Perché colpiva l’avversario giusto. Quando invece Delmastro, suo compagno di partito, fu condannato per aver passato quelle stesse informazioni, il ministro Nordio gli espresse “totale fiducia” e si augurò “una riforma radicale della sentenza”. La coerenza? Soppressa in nome della militanza.

Quando a finire sotto accusa è il figlio del Presidente del Senato, il garantismo diventa attacco preventivo alla vittima: “Ha assunto cocaina”, disse il padre, “ha denunciato dopo 40 giorni”. Nessun rispetto, solo colpevolizzazione della denunciante.

Nel frattempo Daniela Santanchè, accusata di truffa all’Inps e falso in bilancio, resta saldamente al suo posto. Quando mentì sul suo status giudiziario al Senato, nessuno chiese chiarimenti. Il garantismo, in quel caso, serviva a congelare ogni responsabilità.

Fuori dal cerchio, invece, basta un sospetto per scatenare il linciaggio. E nelle piazze, il governo invoca pene più dure, nuovi reati, stretta sui migranti e i “giovani violenti”. Il garantismo è la maschera. Il giustizialismo, il volto vero. La legge si applica agli altri. Per i propri, si interpreta. Sala incluso, curiosamente.