Certo che se si affidano a Bruno Vespa i canali diplomatici tra la Meloni e Zelensky, poi non c’è da meravigliarsi se i due si incrociano a Bruxelles e quasi non si parlano. Un bel ringraziamento, visto che l’Italia ha già speso per Kiev un mucchio di soldi tra armi e dotazioni militari.
Ma il mancato invito della nostra premier prima alla cena dell’Eliseo tra Macron, Scholz e Zelensky, e poi la cancellazione improvvisa del bilaterale col leader ucraino, certificano l’isolamento in cui ci ha trascinato in pochi mesi il governo sovranista.
Siamo passati, insomma, da Conte – che a sentire i giornaloni non avrebbe ottenuto nulla in Europa, e invece ha portato a casa tra prestiti e fondo perduto quasi 300 miliardi di euro – alla presidente di Fratelli d’Italia, di cui nessuno a Bruxelles dimentica l’asse con i primi ministri euroscettici di Polonia e Ungheria, gli slogan del tipo “è finita la pacchia”, e le posizioni sovraniste sui migranti e di comodo sui privilegi dei suoi elettori, come abbiamo appena visto con l’ennesima proroga delle concessioni balneari.
In mezzo c’è stato Draghi, cioè il burocrate più amato dai poteri forti, che ha fatto da garante per lo stacco dei primi assegni del Pnrr, cioè circa 40 miliardi che non basteranno a rimettere in piedi il Paese senza le rate successive. Denaro per cui dovremo farci il segno della croce, visti i rapporti già tanto logori con le maggiori cancellerie e le istituzioni comunitarie, dalla Commissione alla Bce, dove le sparate sguaiate, come quelle di Giorgia o del fido Crosetto, è da tempo che se le segnano.